Una volta a casa, non informai nessuno di quel che era avvenuto durante la gara di orientamento, se non che avevo litigato furiosamente con Michele. Cosa di cui i miei si sarebbero accorti comunque, vedendomi piombare in casa in lacrime, livida di rabbia, per poi salire i gradini che portavano alla mia camera come un lottatore e sbattermi la porta alle spalle, gridando istericamente di non aver alcuna intenzione di rimettere piede in maneggio.
Per i primi tempi non uscii più dalla camera, tanto che persi il conto dei giorni.
All'inizio mia madre, preoccupatissima, aveva tentato di cavarmi di bocca qualcosa, ma ben presto, poiché mi rifiutavo categoricamente di parlare, dovette arrendersi all'evidenza che non mi avrebbe scucito nulla. Non so se andò al maneggio per parlare con Michele ma, se anche lo fece, non mi disse nulla. Si limitava a lasciarmi i pasti fuori dalla porta che io, malgrado mi sentissi lo stomaco stretto come un pugno, mi sforzavo di mangiare, per poi ripiombare a faccia in giù sul letto, in preda alla depressione più nera.
Sapevo in cuor mio di dovermi risollevare, che non potevo andare avanti in quel modo, perché mi stavo portando all'autodistruzione, ma una parte di me invece opponeva fieramente resistenza, perché credeva di meritarsi quell'atteggiamento suicida, convinta che quello fosse l'unico modo che mi avrebbe consentito, presto o tardi, di essere notata dalla persona che me l'aveva scatenato. Come se quello fosse solo un altro modo di urlare il suo nome, ancora e ancora.
Così mi rifiutavo di uscire, di vestirmi, addirittura di lavarmi. Avevo chiuso le imposte e me ne stavo al buio, raggomitolata sul letto, piangendo, ad arrovellarmi notte e giorno – che ormai non distinguevo più – sul comportamento di Michele.
Dopo all'incirca un paio di giorni avevo consumato tutte le mie lacrime e così, con gli occhi gonfi e arrossati, non potendo più piangere, mi limitavo a pensare. Il mio istruttore mi aveva aperto una ferita che non voleva saperne di risanarsi. Non era stata Benedetta e lo scherzetto che aveva deciso di giocarmi con le sue amichette: quello era grave, sì, ma ai loro comportamenti scorretti ci avevo fatto l'abitudine, quello non era il primo né probabilmente sarebbe stato l'ultimo. Ma Michele... Michele mi aveva tradito nel profondo. Mi aveva voltato le spalle anche lui, aveva preso le loro parti, mi aveva definita una persona problematica che, incapace di farsi delle amiche, aveva deciso di metterle in cattiva luce, per ripicca. Se ripensavo alle sue parole, un dolore sordo mi prendeva la gola e rischiavo di scoppiare nuovamente in singhiozzi. Aveva davvero quell'opinione di me? Quell'idea mi tormentava ed il senso di ingiustizia mi opprimeva. Allora mi rintanavo ancora di più fra le coperte, nell'estremo tentativo di annullarmi.
L'unico pensiero che, in quell'orribile situazione, un po' mi animava, era Killer. I progressi che avevamo fatto insieme mi facevano credere di non essere poi così inutile, così incapace. Ma poi la depressione aveva la meglio e mi ritrovavo di colpo a pensare che ben presto Benedetta avrebbe fatto ritorno al maneggio, si sarebbe riappropriata di Killer, anzi, di Glory – dopotutto era stata un'idea sua, quella di tenerlo! – e si sarebbe presa tutti i meriti dei suoi miglioramenti, togliendomi, dopo Michele, anche l'unica mia fonte di gioia. E giù singhiozzi.
Non so quanto tempo trascorsi in quella sorta di limbo, nell'immobilità più totale. So solo che ad un certo punto mia madre spalancò la porta di camera mia e la luce del corridoio mi accecò per diversi minuti, ridotta, com'ero, ad un animale notturno.
Ignorando le mie proteste, mi trascinò a forza giù dal letto e quasi mi buttò nella vasca da bagno, ricolma di schiuma.
Non avevo le forze di oppormi ma, poco dopo essermi immersa nell'acqua bollente, mi resi conto di quanto diamine ne avessi bisogno. Rimasi a mollo per un'eternità, con gli occhi chiusi e i capelli sciolti che mi galleggiavano intorno al volto come un'aureola. Fu davvero rigenerante.
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My dream come true
General FictionLe uniche cose che mandano avanti Sarah con i cavalli, dopo dieci anni, sono la grinta e la voglia di non arrendersi. Il suo maneggio è un ricovero per cavalli problematici, dove il suo istruttore Michele prova a dare un'altra chance ad animali malt...