26.Sangue

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Quando spalancai la porta tirai un respiro di sollievo.
<<Ciaooo.>>
Dissero in coro.
<<Cosa ci fate qui a quest'ora?>>
Chiesi ancora tremante.
Marta, Giada, Ludovica e Eric uscirono dal bagno, come hanno fatto a entrarci tutti?
<<Mi hai pestato un piede!>>
Si lamentò Eric con Giada.
<<Tu l'hai pestato a me!>>
Ribatté lei.
<<Parlate piano!>>
Gli dissi.
<<Tanto non c'è nessuno in giro.>>
Disse sicura Marta.
<<Stasera si...>>
Raccontai ciò che era successo poco prima.
Rimasero turbati più di me.
<<Volevamo sapere come stavi...Ultimamente Marin si fa sentire più del solito.>>
Diceva Giada.
<<Pensi davvero che me ne freghi qualcosa?>>
Mi guardarono scioccati.
<<Non siete qui per me, siete qui per voi stessi, perché avete paura e pensate che io possa proteggervi! Lasciate che vi illumini, io non so proteggere neanche me stessa.>>
Sbottai di colpo, avevo accumulato troppo in questi mesi.
<<Ma che dici! Sei impazzita!>>
Disse Eric.
Evidentemente ero davvero pazza.
Feci una risata isterica.
<<Davvero, davvero credete che io abbocchi alla vostra messinscena? Per mesi mi avete evitata e esclusa da tutto e ora?>>
Chiesi guardandoli bene uno a uno.
<<Ora dobbiamo stare uniti data la situazione.>>
Rispose Marta.
<<La situazione...Non so se ricordi bene la tua festa di Halloween,Marta.>>
Mi avvicinai faccia a faccia con lei.
<<Avete usato la tavola ouija per farmi un dispetto e guardate cosa è successo! Volevate far stare male me, bravi, ci siete riusciti, ma avete trascinato anche voi stessi in questa sofferenza!>>
Mi guardavano, ora erano loro quelli che non parlavano.
<<Andatevene.>>
Dissi gelida indicando la porta con l'indice.
Uscirono in silenzio, tristi e delusi. Avevano sbagliato e lo sapevano, ma non riuscivo a odiarli gli volevo bene, potevano farmi di tutto ma questo non sarebbe cambiato.

Erano le tre di notte, non riuscivo a prendere sonno.
Riflettevo, 'Marin', il soprannome di mio padre, perché? È una strana coincidenza.
Mio papà si chiamava Marco, ma gli piaceva farsi chiamare Marin, fin da piccolo.
Un infermiere passò a parlarmi, mi venne la nausea...
<<Signorina, la sua situazione mi preoccupa parecchio.>>
Disse sedendosi accanto a me.
<<La clinica psichiatrica di Roma non è posto per lei, cerchi di riprendersi.>>
Disse alzandosi per uscire.
Io sussultai.
<<Perché proprio a Roma?>>
Perché proprio la clinica dove si è suicidato Marin?
Che tra l'altro non esisteva più, era solo un edificio abbandonato.
<<Perché la storia si ripete, signorina, la vendetta non è mai abbastanza.Ora tocca a lei!>>
Fece un sorriso gentile, come se le parole di bocca fossero niente e uscì dalla camera, stavo diventando pazza davvero, perché l'infermiere che mi aveva parlato è quello che poche ore fa era a terra dissanguato,questo può solo significare che è morto, ho parlato con il suo fantasma.
Pensai di lasciarmi andare, di farla finita, avevo perso tutto. E se Richard non sarebbe tornato da me, io qui non avevo più nulla da fare.
Presi spunto dall'infermiere di prima, presi un piatto e lo spaccai a terra, con un pezzo appuntito mi sarei tagliata i polsi e sarei morta lentamente, dentro la vasca.
Posizionai la lama sulla pelle,
mi avevano insegnato che per non far rimarginare una ferita bisognava tagliarsi in verticale, l'avevo visto in una serie tv, American Horror Story, una delle mie serie preferite, ma ormai odiavo tutto ciò che c'era di horror.
Ora capivo Marin, capivo il fantasma che ci torturava da mesi, capivo la sua sofferenza, capivo cosa aveva provato nel sentirsi solo, capivo il suo suicidio.
Iniziai a premere sulla pelle, le gocce rosse colorarono il lavandino bianco, l'ombra bianca si agitò, voleva fermarmi, ma non ci sarebbe riuscita.
<<Ho sempre amato il sangue.>>
Disse qualcuno accanto a me. Conoscevo la voce, lo guardai, era lui.
<<Il tuo ha un colore intenso.>>
Disse Marin premendo il pollice sulla mia ferita e portandoselo alla bocca. Poteva avere la mia età, capelli castani gli ricadevano sulla fronte, coprendo i suoi occhi blu, occhi irreali, pericolosi, caderci dentro era inevitabile, uscirne impossibile.
Le sue labbra erano sporche del mio sangue e non so perché, non so per quale motivo, contro tutto ciò che era successo, mi sentivo attratta da lui.
Si guardò il dito ancora sporco, poi guardò me, intensamente. Si avvicinò e portò il suo dito alle mie labbra, facendomi assaggiare il gusto metallico del mio sangue.
Causò in me dei capogiri, mi aggrappai al lavandino per non cadere, cosa stava succedendo?
Mi accarezzò dolcemente la ferita, macchiandosi ancora di sangue.
Le sue dita sembravano così vere, lui sembrava vero, umano, i suoi sguardi, i suoi sorrisi che nascondevano qualcosa.
Continuò ad accarezzarmi la ferita che dopo poco sparì al suo tocco, spostai il mio sguardo dalla ferita, ormai sparita a lui, mi prese per i fianchi e lentamente si avvicinò finché i nostri nasi non si toccarono, sposto la mano ancora insanguinata al mio mento e mi baciò, io e Marin ci stavamo baciando, non un bacio qualunque, ma un bacio intenso, appassionato.
Assaporai le sue labbra dal gusto metallico, mi teneva stretta a lui, troppo stretta.
L'ultima cosa che ricordo sono i suoi occhi blu che mi fissavano, quasi ipnotici.
La mattina dopo mi ritrovai nel mio letto o meglio, osservavo il mio corpo a letto, io stavo fuori a guardarlo.

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