04| La seconda ora: Segreti

420 24 1
                                    

La prima ora era già passata e la seconda era iniziata da una manciata di minuti appena, ma preannunciava già qualcosa di grande. Dal piano di sotto si sentiva il vociare della festa che continuava, eppure né a Leslie, né a Hero importava più qualcosa di tutta quella marmaglia di gente. La loro attenzione era focalizzata tutta l'una sull'altro. Erano concentrati a studiarsi silenziosamente, a sfiorarsi e a toccarsi, si stuzzicavano senza mai andare oltre, come solo delle anime attratte tra loro sanno fare. Era tutto un gioco di sguardi, di parole non dette e di mani voraci che erano incapaci di stare ferme. Ed era perfetto così.

«Com'è davvero essere il miglior giocatore di football del Campus?» Leslie aveva quella domanda in testa da quando aveva incrociato gli occhi i Hero Sullivan alla festa quella sera, eppure aveva riflettuto parecchio prima di lasciarsi sopraffare dalla curiosità e porgli quella domanda. Aveva resistito un po' per insicurezza e un po' per evitare di gonfiare il suo ego, era già sufficientemente pieno di sé che non aveva bisogno di altri pretesti o incentivi in tal senso.
«È inebriante.» Hero fissò la ragazza, aspettandosi una reazione da parte sua che però non avvenne. Leslie era rimasta inespressiva, lasciando che quella risposta raggiungesse davvero il suo cervello. La parola inebriante era onestamente tra le prime che la ragazza si era immaginata che Hero le avrebbe detto. Scontata, ma non era comunque ciò che voleva sentirsi dire da quel ragazzo. Voleva di più di un banale aggettivo buttato lì a caso.
«Anche mangiare un hamburger a due strati di Burger King è decisamente inebriante.» Scherzò la ragazza dai capelli viola. Più lo guardava sorridere e più ne era sicura. Non era quella la risposta che si era aspettata di ricevere dal famoso ragazzo seduto di fronte a lei. Era palese che nascondesse molto più dietro a quel inebriante. Non poteva essere diversamente, perché lei se lo sentiva e Leslie Nelson non sbagliava mai.

Lo sguardo di Hero indugiò più del dovuto sul viso della ragazza, portandolo a fidarsi di quegli occhi. Probabilmente se ne sarebbe pentito presto, ma in quel momento sentiva di potersi fidare davvero di Leslie.
«Amo il football più di ogni altra cosa, ma a volte essere il più bravo qui dentro può essere estenuante.» Quel qui dentro non era di certo riferito alla stanza della confraternita in cui erano, ma piuttosto al campus in generale. Leslie conosceva bene quella sensazione di cui Hero le stava parlando. Eccome. Era stata parte della sua vita fino a quando non aveva iniziato il college, lì a Boston. Ti senti un Dio, ma allo stesso tempo sai che le persone attorno a te non fanno altro che parlarti alle spalle. Non sai di chi fidarti e soprattutto non sai se puoi davvero fidarti di qualcuno. Inevitabilmente finisci poi per sentirti soffocare. Per Leslie quello però era un nuovo inizio, molto lontano dalla vita a cui apparteneva prima. O almeno così sperava.
«Tutti ti venerano, ma allo stesso tempo ti odiano. So cosa si prova.» Un sorrisetto spuntò sul volto della ragazza. Non rimpiangeva niente delle sue azioni del passato. Niente. Eppure... Quel peso che sentiva sempre all'altezza dello stomaco a volte le impediva di respirare regolarmente. Avere la coscienza sporca non era facile da sopportare.
«Davvero?» Hero era sinceramente sorpreso, ogni istante di più. Chi accidenti era la ragazza di fianco a lui? Sapeva flirtare, sapeva zittire, sapeva parlare e sapeva ammaliare. Leslie annuì con il capo, non era del tutto convinta di voler raccontare qualcosa di se stessa a un perfetto sconosciuto, anche se lui si era lasciato andare a una piccola confessione sul football. Perché di quello si trattava comunque. Lei non conosceva Hero e viceversa.
«Quindi qual è la tua triste storia? Tutti qui ne abbiamo una.» Un secchio di acqua gelata avrebbe fatto meno danno che quella domanda in quel momento. Come al solito, Leslie rimase inespressiva, eppure quelle parole avevano appena lasciato una profonda ferita dentro di lei. Già, qual era la sua storia triste? Da dove cominciare in realtà? La sua vita era un susseguirsi di tristezza.

«Mia madre è in coma da più di un anno ormai. Mio padre è un medico e non si mai preso cura di lei, perché è uno stronzo egocentrico che mira solo ai soldi.» Iniziò la ragazza dai capelli viola, ma tentando lo sguardo basso, non per timore, ma per concentrarsi su ciò che voleva rivelare davvero. Hero non si aspettava però un inizio così difficile da parte della ragazza. Sul suo viso calò uno sguardo serio, uno di quelli che anche il suo migliore amico solo poche volte gli aveva visto dipingergli il volto. Non si era di certo aspettato un inizio del genere. La sua storia, paragonata solo all'inizio di quella di Leslie, pareva una semplice passeggiata in pianura.
«Io non sono una brava persona, Hero. Non sono orgogliosa del mio passato, ma non mi pento di ciò che ho fatto e non lo farò mai.» Ammettere tutte quelle cose ad alta voce era più difficile di quanto Leslie avesse mai potuto immaginare. Era un peso che si stava togliendo dal cuore certo, ma allo stesso tempo erano informazioni su di se che stava dando a una persona estranea. Nemmeno Cassie sapeva così tanto di lei. E a Cassie, Leslie doveva tutto.
«Ho fatto delle scelte sbagliate che mi hanno portato ad essere un peso per la mia famiglia, è solo grazie a mia madre se oggi sono qui a Boston e non in un centro di riabilitazione per drogati e spostati mentali.» La parte più oscura del suo passato riguardava proprio la droga. Solo a pensarci, a Leslie veniva la pelle d'oca. Aveva fatto così tanti errori che si sentiva ancora una sciocca, una completa irresponsabile e una totale idiota. Non avrebbe mai potuto ringraziare sua madre abbastanza per ciò che aveva fatto per lei e forse non lo avrebbe mai potuto fare davvero. Sua madre era appesa solo con un filo sottilissimo alla vita, una vita che forse lei non voleva più vivere davvero.

PURPLE QUEEN - Obbligo o verità?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora