Storia 3: "Fra 10 minuti sono sotto casa tua"

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Intreccio i miei capelli, lasciando che le ciocche ribelli mi incornicino il viso.
Le stesse che tu arrotolavi attorno alle tue dita, prima di posarmi un bacio morbido sulle mie labbra costantemente screpolate.
I miei occhi scuri diventano lucidi e il mio riflesso assume la forma di una massa sfocata.
Lego la treccia col solito elastico, rovinato, che tengo sempre al polso.
Mi stringo forte nella felpa; improvvisamente mi é venuto freddo.
Mi siedo alla scrivania.
Penso, lasciandomi avvolgere da quel senso di vuoto che improvvisamente ha riempito il mio petto.
Eppure, dopo di te, sono cambiate così tante cose.
Anche se gli altri non se ne accorgono quando mi vedono arrivare, con in spalla lo zaino pieno di scritte, e nei piedi le mie Nike scolorite, nulla é più lo stesso.
È cambiato il mio modo di camminare, perché dopo di te ogni mio passo é diventato incerto; mi sono persa.
E il color nocciola che mi riempie gli occhi é diventato così denso da non permettere a nessuna emozione di trapelare.
È cambiata la mia playlist, ma tutte le canzoni continuano a ricondurmi a te.
Ed anche il mio sorriso, che una volta disegnava una ragnatela di rughe agli angoli della bocca e degli occhi, ora è sempre forzato, tanto da sembrare una smorfia.
Apro il mio diario, lasciando che le mie dita assaporino le pagine impregnate di inchiostro e di lacrime.
Anche il mio modo di scrivere é mutato; le mie parole sono così irregolari e tremolanti che danno l'impressione di star per precipitare nel vuoto e frantumarsi in mille pezzi.
Ed ecco, ad un certo punto, la nostra ultima foto insieme.
L'unica che stampai.
I bordi rovinati, la carta sgualcita e stropicciata.
Con l'indice ripercorro lentamente la tua immagine, nell'illusione di poter risentire la morbidezza delle tue labbra e il modo in cui si piegavano per pronunciare il mio nome.
Proseguo, verso i tuoi zigomi spruzzati di lentiggini e, se solo potessi tornare indietro, giuro che mi imparerei a memoria ogni singola costellazione che formavano.
Continuo, fino a giungere ai tuoi capelli, e il ricordo di quanto mi piaceva arruffarli mi fa tremare il cuore.
Tutto diventa troppo sfocato e tremolante, perciò stringo forte la foto al mio petto e inizio a piangere come una bambina.
La mia testa é piena di domande senza risposte e di ansie.
E so che nessuno verrà ad abbracciarmi e riuscirà a fare ordine in quel groviglio di pensieri, proprio come invece sapevi fare te.
Fra il terrore di dimenticare il suono della tua risata e di alterare il tono della tua voce, non mi rendo conto di quanto le mie mani stiano stringendo la nostra foto, e la paura di aver potuto rovinare anche un singolo fotogramma di te mi pietrifica.
La poggio sulla scrivania e resto a guardarla.
Due anni.
Due anni dall'ultima volta che mi era rimasto addosso il tuo profumo.
Dall'ultima volta che i tuoi occhi chiari mi guardarono, in quel modo che solo tu riuscivi fare; come se nonostante tutti i miei errori, per te continuassi ad essere perfetta.
Perché per tutti gli sbagli che commettevo, tu riuscivi a farmi sentire giusta.
Due anni dall'ultima volta che le mie dita strinsero le tue, che le tue labbra assaporarono le mie, che mi sussurrasti all'orecchio "ti amo."
Due anni da quando noi siamo finiti.
Due anni che continuo ad essere bloccata nel passato, rifiutando di vivere in un presente senza di te.
Nel mio cellulare il tuo ultimo messaggio è una nota vocale.
Stavi dicendo "fra 10 minuti sono sotto casa tua."
E non sai quante sono state le notti passate ad ascoltarlo, e riascoltarlo, e riascoltarlo.
Non sai quante volte ti ho aspettato, fuori dal cancello, proprio come l'ultima volta.
Per 10 minuti.
Che poi sono diventati 20.
Poi 30.
Poi un'ora.
Ma tu non arrivavi mai.
Quando seppi dell'incidente, tutto divenne scuro e silenzioso, e io non sentivo più niente.
Ricordo la corsa in macchina con papà.
Ricordo le imprecazioni per trovare le chiavi e accendere l'auto il più velocemente possibile.
Ricordo le mie mani sudate che strofinavo imperterrita sui miei jeans e il battito del mio cuore che martellava contro la mia gabbia toracica, così forte che pensai potesse romperla.
Ricordo la strada che sembrò più lunga del solito e la pioggia che cadeva troppo forte.
Poi ricordo le luci dell'ambulanza.
L' auto della polizia.
E un'altra auto dentro al fosso.
E infine la tua auto, col cofano accartocciato e i vetri frantumati.
Ricordo che quando aprii lo sportello, un forte senso di nausea incominciò a risalirmi dallo stomaco e che le mie gambe erano troppo fragili per reggere il peso del mio corpo.
Ricordo che i miei occhi erano così gonfi e avevo perso talmente tante lacrime da non piangere più.
Dentro me il gelo.
Non saprò mai quel è stato l'ultimo pensiero che ti ha abbracciato la mente prima di spegnersi con te.
Non saprò mai l'ultima cosa che videro i tuoi occhi, o la canzone che stavi ascoltando, o le ultime parole che dicesti prima di uscire di casa.
Tutto ciò che so è che dentro me qualcosa si ruppe, creando una voragine, che da quell'istante iniziò a crescere in me.
Chiusi il mio cuore in cassaforte, e poi me stessa, al mondo intero.
Una volta la domenica mattnina mi portavi sempre una rosa, con un piccolo biglietto color crema legato da un candido nastrino al gambo. C'era scritta sempre la stessa frase:
"Ogni volta che avrai bisogno di me, ed io non potrò esserci, respira il profumo di questa rosa, e io sarò in te.
E non ti sentirai più sola. "
Adesso, ogni domenica mattina mi dirigo al cimitero, stringendo una rosa.
Chi l'avrebbe mai detto che alla fine sarei stata io a portare fiori a te ogni settimana, eh?
Nel mio biglietto, con la mia terribile calligrafia, scrivo sempre la stessa frase "Neanche nel profumo di questa rosa ti ho trovato.
Mi sento così sola.
Ti prego, torna a riempire i miei polmoni, perché senza te, persino respirare, é diventato difficile."

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