A Christmas to Remember - First Part

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Nevicava da ore ormai e sembrava non aver intenzione di smettere.
Sbuffai appoggiando il viso sopra le ginocchia mentre continuavo ad osservare, con fare assorto, la lenta e sinuosa danza della neve.
Ero arrivata da poco più di due ore ed ero tornata a chiudermi in me stessa, come non succedeva da tempo.
Se solo avessi avuto un'altra possibilità. Se solo avessi potuto fregarmene di tutto quel gelo... Eppure non ci riuscivo. Mi sentivo così terribilmente legata a quella casa grande, alla mia camera vuota e ai miei genitori fantasma, che l'indifferenza faceva ancora più male.
Chiusi gli occhi, immergendomi nel flusso frenetico di sensazioni che attanagliavano il mio cuore dal mio tormentato ritorno a casa.
Ma quella era davvero una casa?

Potevo concedermi il lusso di considerarla casa mia?

Poche ore prima...

Quando vidi George all'aeroporto ad attendermi con un enorme sorriso sulle labbra, il futuro tornò a risplendere davanti ai miei occhi sotto una nuova luce. Il suo sguardo protettivo e le piccole braccia erano state per anni la mia unica famiglia. George non era stato semplicemente il maggiordomo di casa per me, ma era stato soprattutto un caro amico, padre affettuoso ed un indispensabile confidente per un Hanna ancora adolescente.
Lo abbracciai con slancio e nel breve tragitto verso casa, azzerammo gli anni passati lontani.
"Hanna ti vedo con una nuova luce negli occhi. Sei cresciuta tanto sai? Mi ricordo ancora, come se fosse ieri, quando ti tenevo tra le braccia per farti addormentare."
Arrossii ma non risposi, perché i miei piedi avevano ormai solcato il grande portone di legno. Presi un respiro, scambiai un veloce sguardo con George ed entrai a casa. L'odore di disinfettante mi investì con forza, dando libera fuga ai ricordi spiacevoli.
Mi strinsi le mani a pugno e presi quasi la rincorsa, dirigendomi verso l'enorme scalone di marmo perlato. Prima di poter toccare il primo gradino, la voce di mia madre mi fece arrestare automaticamente.
"Hanna dove stai andando? Non saluti nemmeno?"
I suoi occhi di ghiaccio mi fecero sempre il solito inquietante effetto.
"Scusa mamma, sono stanca." Mi girai e mi diressi verso di lei, dandole un veloce bacio sulla guancia. Pelle morbida, sempre truccata e perennemente priva di rughe. Mia madre era indubbiamente una donna bellissima, ma non capace di amare. I sentimenti per lei erano qualcosa di scientifico, da analizzare e studiare. Tutto ciò che per l'essere umano era irrazionale, lei riusciva a vederlo attraverso la lente del suo telescopio e a dargli comunque una spiegazione scientifica. Talmente razionale da farla sembrare l'unica soluzione possibile.
"Va bene riposati che stasera appena torna tuo padre dobbiamo andare ad una conferenza" Feci un cenno d'assenso, ormai pronta a fuggire prima del suo solito interrogatorio e perlustrazione minuziosa del mio corpo. Ma fui troppo lenta, lei era già partita in quarta.
"Hanna, sei per caso sei ingrassata? E i vesti, diamine Hanna! Ma ti sembrano consoni?"
Io mi guardai i jeans e il cappotto, nascondendomi leggermente dentro la grande sciarpa, per paura di quello sguardo così freddo e spaventoso.
"Cosa c'è di male? Sono comodi e tengono caldo, mamma. Mi piacciono."
Lei fece un cenno di dissenso con la mano, continuando il suo patetico sproloquio.
"Certo, allora tutti noi potremmo vestirci con dei sacchi di patate, perché sono comodi e pratici. Ma ti rendi conto? Dopo due anni mi devi far preoccupare ancora di più. Ti devo ricordare che sei una Stevenson? Che hai una certo spessore nella società? Tuo padre se la prenderebbe con me, altroché.
Corri su a cambiarti e per stasera indossa pure un vestito da sera, quello blu cobalto, così potremmo anche presentarti il figlio dei Delacroix. Te li ricordi, vero? Ah, un ultima cosa : ho parlato con il tuo preside e mi ha detto che te la cavi bene all'università, ma ti perdi troppo in quel club letterario. E' così?"
Avrei voluto urlare e scappare via, per rinchiudermi nella mia camera,a scrivere per ore, fino a trasformare la mano destra in un grande e doloroso callo. Ma non lo feci, deglutii rumorosamente e tornai a guardarla negli occhi con forza bruciante.
"Mamma è una passione e non voglio continuare a discutere sui miei dubbi gusti. Studio, disegno e scrivo, qual è il problema?"
E fu così che una delle innumerevoli litigate iniziò durando più di mezzora e terminando con solamente insulti sulla mia passione e sul mio modo di essere inadatta. Semplicemente perché non ero come lei si era aspettata.
Non ero mai stata la degna figlia di Rachel Maria Harris e degna discendente dei Stevenson.
Ero sempre stata Hanna e in quel momento un moto d'orgoglio mi travolse.
Ero orgogliosa e assolutamente fiera di essere quella che ero. I tempi delle suppliche, preghiere erano finiti.
Ero cresciuta.
Ero semplicemente io.

Inked Love - Amore d'inchiostroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora