Capitolo 6

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Sharon
Ho sempre pensato che le feste degli universitari fossero molto simili a quelle dei liceali, ma a quanto pare
mi sbagliavo, o almeno non lo era quella a cui andai quella sera. Era organizzata proprio bene e i ragazzi ubriachi non erano molti, la musica era a un volume decente e i divanetti erano pieni di gente che si divertiva semplicemente scherzando con il proprio gruppo di amici. Indossavo un tubino nero lungo fino a metà coscia e degli stivaletti neri col tacco alto e borchie laterali che ricoprivano anche la giacca di pelle che indossavo per le occasioni.

Appena arrivati Jacob mi disse che ci sarebbero stati anche i suoi amici e, come mi è solito fare, iniziai a pensare al peggio, non che ci fosse molto di brutto da pensare a riguardo, ma la mia mente partì in automatico. Arrivammo davanti a un gruppo di ragazzi e ragazze e dopo averli salutati me li presentò:

<Lui è Tom e lei è Josie, la sua ragazza> disse indicando un ragazzo alto, biondo e muscoloso, e una ragazza dalla pelle olivastra con un mucchio di capelli ricci e castani.

<Lui è Cameron e lei è Elle, la sua ragazza>, stavolta indicò un ragazzo molto più muscoloso del primo e con i capelli castani scompigliati e senza una direzione che gli donavano molto, e una ragazza non molto alta con la pelle chiara e i capelli neri raccolti in una coda alta.

<Loro, invece, sono Tyler e Daniel, single e sfigati come me.>, indicò il ragazzo magro e dai capelli neri che avevo già incontrato a Central Park il giorno prima e un altro che portava un cappellino da baseball rosso al contrario da cui uscivano ciuffi di capelli castani.

<Ragazzi lei è Sharon, un'amica.> concluse
<Ciao a tutti.> dissi sicura.
Ricambiarono tutti il saluto sorridendo e già mi erano simpatici

<È un piacere conoscerti Sharon!> disse infine Elle euforica <Ti andrebbe di prendere qualcosa da bere con me e Josie?>
<Ehm, certo>risposi incerta, non perchè fossi a disagio, ma perché la sua euforia mi spaventava. Mi prese per mano e mi trascinò via mentre lanciavo un'occhiata preoccupata al mio accompagnatore che per tutta risposta alzò le spalle come se fosse tutto normale. Normale! Ovvio! Quella ragazza sembrava psicopatica e iniziai a temere per la incolumità.

Sarei morta me lo sentivo, vedevo già i titoli dei giornali locali. Ecco, a proposito di pensare al peggio. Fatto sta che invece di portarmi in una cantina mal illuminata, mi portarono ad un tavolo pieno di alcolici con un ragazzo dietro

<Tre B52> ordinò Josie e una volta ricevuti i nostri bicchieri iniziarono a voler fare conversazioni e cercai di essere cortese.

<Che lavoro fai Sharon?> chiese la psicotica
<Lavoro al pub sulla dodicesima> le comunicai
<Figoo!> esclamò Josie <Noi siamo sempre li il venerdì pomeriggio, infatti eravamo lì proprio oggi.>
<Ah beh, io ho il giorno libero il venerdì.>
<Allora dovremmo iniziare a venire gli altri giorni.> ridacchiò Elle.

Ritornammo dai ragazzi e vidi Jacob bere consecutivamente tre shottini, qualcosa mi suggeriva che avrei dovuto guidare io al ritorno.

Tre ore dopo decisi di trascinare il mio accompagantore fuori da quella casa in modo tale da tenerlo lontano da qualsiasi forma di alcool e per mia fortuna non oppose molta resistenza.

I suoi amici mi proposero di pensarci loro a lui, ma rifiutai insistentemente visto che neanche loro non erano molto sobri e alla fine cedettero.

Mentre si reggeva al mio braccio lo portai alla macchina e una volta dentro si distese sul sedile. Mi misi alla guida e realizzati che non sapevo dove abitasse, di bene in meglio Sharon.
<Saresti in grado di spiegarmi dove abiti?>
<Ho sonno, evita di parlare>
Di male in peggio Sharon.

Fu allora che realizzai di avere una sola alternativa: portarlo a casa mia.
Yeee che felicità!

Parcheggiata la macchina cercai di svegliarlo e quando ci riuscì lo feci scendere dall'auto. Ci avviammo verso il mio palazzo di otto piani con l'ascensore rotto (stavo al sesto piano. Yeee) e una volta aperto il portone d'ingresso gli misi il braccio sulle mie spalle per aiutarlo a salire.

Tre rampe di scale dopo non ce la facevo più e Jacob non collaborava, si lamentava soltanto. Lo misi a sedere sul pianerottolo per riprendere fiato e lui si zitti.

Mi guardava come solo un ubriaco sa fare eppure sembravano ugualmente pieni di tante belle emozioni i suoi occhi, emozioni che sapevo di non poter provare, erano troppo belle per la mia anima. Mi sedetti sulle scale di fronte a lui e poi, con una sola frase, annientò tutte le mie difese:
<Sei bellissima Sharon.> sorrisi. Tanto l'indomani non lo avrebbe ricordato.

Ciò che il cielo non ci diceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora