Cinque

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Mia
Passai la prima parte della settimana tra le mura della biblioteca, a studiare come una pazza.
La partita era andata benissimo e Vittorio si era divertito un sacco.
Non avevo più sentito Federico ed andava bene così.
O almeno era quello che dicevo a me stessa.
Non sapevo neanche io che cosa mi aspettassi da lui.
Non pretendevo di certo un messaggio ogni ora.
Mi avrebbe fatto piacere ricevere un suo buongiorno o anche una buonanotte, ma ero perfettamente consapevole che, aspettarmi dagli altri quello che avrei fatto io, era nocivo.
A dire il vero, troppe cose in quella storia risultavano essere nocive.
L'elevata curiosità che provavo nei confronti di un perfetto sconosciuto, per esempio, oppure il fatto che stessi ricominciando ad avere delle aspettative su qualcuno, dopo tanto tempo passato a scappare da possibili delusioni.
La verità era che avrei voluto conoscerlo meglio.
Sapere qualcosa in più di un nome, un numero e delle sue coordinate geografiche.
Era come se stessi attendendo che la mia mancanza si facesse sentire.
Come se fossi in attesa che raggiungesse un punto in cui parlarmi gli risultasse necessario.
In quel momento, cominciai a pensare che, forse, le mie speranze non si erano mai spente del tutto, come invece credevo.
Ero quasi sicura di averle soltanto compattate in una poltiglia informe e sepolte da qualche parte nel mio cuore.
Da piccola pensavo che le cose belle avessero il passo lento.
Superata l'infanzia avevo capito che, ad illudersi che fosse così, si soffriva e basta.
Federico aveva risvegliato quella parte di me che avevo messo a dormire molti anni prima.
Ci era riuscito in pochi giorni, con dei messaggi e meno di cinque minuti al telefono.
Mi faceva paura anche solo pensare all'influenza che un ragazzo mai visto potesse avere su di me.
«Innocenti!»
Sussultai per lo spavento quando sentii pronunciare il mio cognome.
«Leoni».
Niccolò si sedette accanto a me, lanciando un'occhiata al mio quaderno degli appunti.
«Perché non lo chiudi e vieni con me?»
«Perché ho un esame» replicai, cercando di concentrarmi.
«E se non avessi l'esame?»
«Sarebbe un no comunque».
«Che dici se facciamo un patto?» chiese, con un guizzo negli occhi.
«Di che parli?»
«Esci con me una volta sola ed io non te lo chiederò più».
Leoni era il classico ragazzo per cui tutte avrebbero perso la testa.
Tutte tranne me.
Mi venne in mente che, forse, un'uscita non sarebbe stata poi così terribile.
Gli avrei fatto capire che io non era fatta per lui o per nessun altro.
Magari saremmo potuti diventare amici.
Forse non ci saremmo parlati più.
Tanto valeva correre il rischio.
«Poi la smetti?»
«Poi la smetto».
«Ci sto allora».
«Passo stasera».

Federico
Rimasi a fissare il cellulare per ore.
Ogni volta che lo schermo si illuminava, mi spegnevo io.
Non aver ricevuto alcun messaggio da parte di Mia, mi fece restare male.
Dopo la partita ero andato a festeggiare con la squadra, dimenticandomi completamente della presenza di Caterina al Franchi.
Mi chiamò almeno una decina di volte, ma non risposi neanche ad una.
Non era lei quella che volevo sentire.
I primi giorni della settimana andarono avanti come sempre.
Lentamente.
Spesi il tempo tra allenamenti e divano, fino a che non mi stufai e contattai Gianmarco.
Lo incontrai in piazza dopo neanche mezz'ora.
Lo scorsi da lontano, mentre rideva in compagnia di due ragazze.
Una era alta, con i capelli neri e vaporosi, al pari di una nuvola di fumo. L'altra era bionda ed un po' più bassa.
Già a distanza, la trovai diversa, ma cercai di lasciar perdere.
«Fede!» esclamò il mio migliore amico, dopo essersi congedato dalle due.
«Con chi eri?»
«Silvia. Te ne ho già parlato» spiegò, tirando fuori il cellulare e mostrandomi una fotografia della mora.
«E chi era quella con lei?»
«Non mi ricordo il nome...Amanda, Anita...qualcosa del genere» rispose vago. «È figa, ma penso sia già impegnata. Ha un appuntamento stasera».
La seguii con lo sguardo mentre camminava via, senza sapere che, un giorno, avrei fatto di tutto pur di non vederla andarsene.
«A cosa stai pensando?» domandò Gianmarco.
«A niente».
«Intendevo a chi stai pensando?» si corresse. «A Cate?»
«No» risposi, come se fosse stato ovvio. «Un'altra».
«Le cose si fanno interessanti».
«In realtà no».
«Lei com'è?» chiese curioso.
«Simpatica, dolce, arguta...ha una voce che farebbe sciogliere pure te».
«E fisicamente?»
«Non ne ho la minima idea» ammisi e cominciai a raccontargli di come ci eravamo 'conosciuti'.
«E tu stai così per una che hai sentito tre volte in tutta la tua vita?»
«Strano, vero?»
«Secondo me sei solo stufo di Caterina» commentò pensieroso. «Altrimenti non si spiega».
«Lei non ha niente a che vedere con Caterina».
«Lo sai che potrebbe essere chiunque?»
Lo sapevo, però non mi interessava.
Avrebbe anche potuto avere i capelli di mille colori o un occhio solo, che avrei voluto approfondire la sua conoscenza comunque.
Quella sera decisi di chiamarla io, stufo di aspettare.
"Pronto?" udii dopo il terzo squillo.
"Mia".
"Federico".
"Che combini?"
"Sono ad una specie di appuntamento" spiegò, spiazzandomi.
"Scusa il disturbo allora. Ciao".
Riattaccai prima che potesse rispondere e mi buttai sul letto.
Perché scoprire che si trovava con un ragazzo, mi diede così fastidio?
In fondo per lei non ero niente.
Meno di zero. Meno di un estraneo.
Il nulla.
E la cosa sarebbe dovuta essere reciproca.
Ripresi il cellulare e mandai un messaggio alla mia ragazza.
Non avevo la benché minima voglia di vederla, ma neanche di restare da solo a pensare.
"Passi da me?"

Stubborn Love / Federico ChiesaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora