Mia
Un tempo pensavo di sapere tutto su di me.
Di conoscermi come il palmo della mia mano.
A vent'anni, ero convinta di aver già visto tutto quello che c'era da vedere.
A differenza di molti miei coetanei, mi illudevo di sentirmi completa così com'ero.
Credevo che, una come me, non avesse bisogno dell'amore per essere felice.
Nelle relazioni, i sentimenti erano esclusi.
Metterli in mezzo sarebbe servito soltanto a far soffrire qualcuno.
Riuscii a cambiare idea soltanto dopo 'la mattina delle mattine'.
Così la denominammo Chiesa ed io.
Contrariamente a quanto si potrebbe credere, non iniziò nel migliore dei modi.
La sera prima mia madre aveva spento la Playstation di mio fratello, prima che lui potesse salvare i progressi dell'ultima partita a Minecraft.
Nonostante la mia camera fosse al piano di sopra, mi sorbii le sue lamentele fino a tarda notte e, come mai prima, desiderai di andare a vivere per conto mio.
Vittorio aveva sedici anni, ma, alle volte, avrei giurato che fosse ancora un bambino.
Complici le poche ore di sonno, mi ritrovai con due enormi occhiaie violacee che neppure un miracolo avrebbe coperto.
Davanti allo specchio mi resi pure conto che neanche i miei capelli avrebbero collaborato a farmi apparire decente.
Come al solito, arrivai a lezione in ritardo e, per l'ennesima volta, dovetti ascoltare il racconto dell'appuntamento di Silvia che, solo due giorni prima, era uscita con un certo Gianmarco, conosciuto su Instagram.
«Lui è così...»
«Gentile» la precedetti esasperata.
«Come lo sai?» chiese sorpresa.
«È la quarta volta che lo ripeti».
Silvia era la mia migliore amica dai tempi delle elementari.
Stringemmo amicizia dopo che le tolsi un ragno dai capelli, durante l'ora di educazione fisica.
Ricordavo ancora con soddisfazione l'ammirazione delle nostre compagne di classe.
Diventai l'eroina della prima C per almeno un mese, con tanto di disegno appeso accanto alla lavagna e medaglia di cartone.
'Mi ha salvata' aveva detto a tutti con la massima serietà.
Uno dei difetti che Silvia ed io condividevamo, era quello di straparlare di qualunque cosa.
Io, però, tendevo ad essere particolarmente loquace, solo quando lo stress aveva la meglio su di me.
Mia nonna me lo ricordava sempre: 'C'è chi si mangia le unghie, chi mastica il tappo della penna e chi, come te, parla'.
Silvia era un caso a parte.
Una volta intavolò una conversazione sugli orecchini della nostra professoressa di filologia ed arrivò, senza alcun nesso logico, ad espormi i pro ed i contro di un viaggio in un paese subequatoriale.
Come prevedibile, la mia migliore amica proseguì col suo monologo anche dopo le lezioni, mentre io, impiegai il mio tempo a guardare fuori dalla finestra della biblioteca, cercando di attribuire una forma ad ogni nuvola di passaggio.
«Mia!»
«Che?»
«A cosa pensi?» domandò curiosa.
«All'esame» mentii.
«E perché guardi il cielo invece di studiare?»
Sbuffai e cominciai a sfogliare le pagine del libro di letteratura, consapevole che, la mia mente, fosse mille miglia lontana dal riuscire a concentrarsi sulle poesie che vi ci erano stampate sopra.
«Comunque il tuo cellulare ha fatto un rumore strano» m'informò sottovoce, fingendosi immersa nella lettura.
"Dobbiamo parlare" furono le uniche due parole che apparirono sullo schermo.
Il numero del mittente non era nella mia rubrica, così lo mostrai a Silvia.
«Secondo me è Niccolò» commentò gongolante.
«Il suo numero ce l'ho».
"Chi sei?" digitai velocemente, per poi lasciar ricadere il telefono in borsa e tornare a destreggiarmi tra terzine e quartine.
La risposta non tardò ad arrivare, attirando anche l'attenzione della bibliotecaria, che predicava un silenzio più religioso di quello di un tempio.
"Non scherzare".
"Perché dovrei scherzare?"
"Caterina?"
Caterina?
"Hai sbagliato numero" scrissi, leggermente delusa.
"Sicura?"
"Sono abbastanza sicura di non chiamarmi Caterina, ma se vuoi controllo la carta d'identità".
"E come ti chiami?"
"Mia".
"Mia?"
"Mia" ripetei confusa.
"Mia sta per?"
"Amelia" replicai.
In quel momento, sia Silvia che io, sentimmo una porta sbattere e ci girammo istintivamente verso l'ingresso.
Niccolò entrò a grandi passi, accompagnato da Filippo. Non appena mi vide, afferrò un libro dallo scaffale e venne ad occupare il posto accanto al mio.
Niccolò Leoni aveva due anni in più di me e frequentava il corso di medicina.
Il nostro primo incontro fu proprio tra le mura dell'università.
Non avevo neppure una moneta e lui mi salvò dall'astinenza da caffè, offrendomene uno.
Da allora non si era mai fatto problemi ad ammettere il suo interessamento nei miei confronti.
«Signorina Innocenti» mi salutò cordiale.
«Leoni...non pensavo ti interessasse la poesia romantica» dissi, lanciando un'occhiata al volume che aveva tra le mani.
«Che dici se stasera usciamo?» domandò, ignorando il mio commento.
«Con chi?»
«Tu ed io» affermò, passandosi le dita tra i ricci castani.
Niccolò non era proprio il mio tipo, come, d'altronde, chiunque altro.
Lui mi guardò speranzoso, mentre io tirai nuovamente fuori il telefono.
"Federico" recitava il messaggio dello sconosciuto, a cui potei finalmente affibbiare un nome.
"Federico?"
"Federico".
"Federico sta per?" chiesi ironica.
"Simpatica".
"Ciao Federico" chiusi la conversazione e riposai il mio sguardo sugli occhi verdognoli di Niccolò.
«Allora?»
«No» risposi semplicemente.
«Tu sei pazza!» esclamò Silvia, non appena il ragazzo se ne andò.
«Non cerco relazioni».
«Lo so» sospirò. «È la tua politica».
«La porto avanti con fierezza» dichiarai, con la testa ancora tra le nuvole.
Ne avevo vista una a forma di cono gelato e, quel pensiero, per quanto buffo potesse sembrare, mi assillò per tutta la giornata, proprio come l'idea che Federico non avesse scritto altro.
Ancora non lo sapevamo. Né io né lui.
Non avremmo mai potuto immaginare che da quel giorno sarebbero cambiate molte cose.
Che, un messaggio inviato per sbaglio sarebbe diventato l'errore più bello di sempre.
Che, quella mattina, l'avremmo soprannominata 'la mattina della mattine'.
Che, uno come lui avrebbe potuto farmi scoprire cose su di me che persino io ignoravo.
Certe persone capitano nella tua vita solo per dirti qualcosa in più su di te.
Qualcosa che non sai, ma che dovresti sapere.
Anche Paulo Coelho l'aveva scritto: negli incontri casuali bisogna riporci fiducia, perché due persone si incontrano quando entrambe hanno un estremo bisogno di incontrarsi.
Tra noi avvenne proprio questo.
Sia lui che io avevamo un disperato bisogno l'uno dell'altra, prima ancora di incontrarci.
Prima ancora di saperlo.
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Stubborn Love / Federico Chiesa
Hayran KurguMia e Federico si erano incontrati senza cercarsi e non potevano più fare a meno l'uno dell'altra.