Nove

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Mia
Dopo aver salutato Federico, tornai a casa e cercai di cancellare l'enorme sorriso che avevo stampato sulla faccia.
Mi guardai allo specchio per diverse ore, senza riuscire a prender sonno.
«Smettila!» pensai, scrutando il mio riflesso. «Non puoi lasciarti coinvolgere in questo modo».
Ero arrivata al punto di parlare da sola, di pentirmi di averlo incontrato e persino di volerlo rivedere.
La sensazione che avevo provato, dopo qualche ora passata assieme a Chiesa, incarnava tutto ciò che professavo di voler evitare.
Non era amore.
Non ancora.
Non sapevo cosa fosse. Non sarei stata in grado di affibbiarle un nome.
Era qualcosa più grande di me e che, lentamente, mi stava risucchiando.
"Non so tu, ma io sto pensando a te" lessi ad alta voce il suo ultimo messaggio.
"Ok" risposi di getto, lasciando sprofondare la testa tra i cuscini.
Lui ovviamente non replicò ed io mi sentii una perfetta idiota.
Anche io stavo pensando a lui.
Ad esser sinceri, era da giorni che non facevo altro.
Anche Niccolò mi aveva scritto.
"Stai meglio?"
"Sono ancora un po' sottosopra" digitai io.
Non era una bugia.
Dopo aver incrociato gli occhi di Chiesa, avevo percepito il mio stomaco aprirsi e farsi più leggero.
Come se, da un momento all'altro, avesse potuto prendere il volo.
Come se, tutte le preoccupazioni, fossero uscite dal mio corpo e si fossero disperse nell'aria.
Era bello, ma strano e soprattutto debilitante, perché, quando rientrai a casa, quella leggerezza svanì.
Sapevo che, se lo avessi rivisto, sarebbe tornata.
Ne ero certa.
Era incredibile come, un ragazzo che conoscevo al pari della mia parrucchiera, fosse stato in grado di rendere la vita più sopportabile per una notte.
Una volta avevo letto che, quello che noi esseri umani cerchiamo, è proprio qualcuno che ci faccia sentire vivi in un mondo morto come il nostro.
Che ci faccia vedere la luce nell'oscurità.
Mi ero ripromessa, ormai tempo prima, che non avrei mai lasciato a nessuno il potere di completarmi, eppure, dopo neanche mezza giornata di riflessione, decisi di riprendere in mano il telefono e di chiamarlo.
Capii di aver bisogno di quella leggerezza.
Uno squillo. Due squilli. Tre squilli.
"Pronto?"
"Ti va di vederci?" domandai, senza giri di parole.
"Certo" disse subito. "Io ho un'amichevole al Franchi stasera".
"Oh".
"Ci saranno al massimo cinquanta persone. Che dici di venire là per le nove?"
"Ehm...".
"C'è anche Gianmarco. Puoi chiedere a Silvia se ti va".
"Ok" risposi, leggermente delusa.
"Poi andiamo da qualche parte tu ed io".
"Devo preoccuparmi?" scherzai, cercando di nascondere il mio entusiasmo.
"No, tranquilla".
"Perfetto".
"Perfetto".
Riattaccai e rimasi immobile per qualche secondo, prima di contattare la mia migliore amica.
"Silvia".
"Mia".
"Stasera. Partita di calcio" .
"Che?"
"Chiedi a Gianmarco i dettagli".
"Va bene".
Non le avevo ancora raccontato di Federico.
Sapeva dei messaggi, ma non che ci eravamo incontrati la sera precedente e, soprattutto, non aveva idea di quale Federico stessimo parlando.
Guardai l'ora e constatai di essere in perfetto anticipo.
Tirai fuori dei vestiti dall'armadio e mi buttai sul letto in attesa.
Non ero affatto quel genere di ragazza: una di quelle che passavano ore davanti al guardaroba senza saper scegliere e che, alla fine, optavano per i capi più vistosi e scollati, solo per fare colpo.
Io, se avessi potuto, sarei uscita in pigiama.
A Federico non sarebbe importato.
A me, in primo luogo, non sarebbe dovuto importare, proprio perché per Chiesa non provavo quel genere di attrazione.
Certo...ero consapevole che fosse un bel ragazzo e, caratterialmente, eravamo anche molto simili.
Mi sarebbe potuto piacere.
In un universo parallelo.
Ovviamente.
Le nove non tardarono ad arrivare ed io mi ritrovai sul ciglio della strada, avvolta in una sciarpa lunga almeno due metri e con in testa un cappello a dir poco imbarazzante.
«Dove pensi di andare così?» aveva domandato mia madre, vedendomi uscire con un semplice cappotto ed un paio di guanti.
«Così come?».
Nel giro di cinque minuti, aggiunse su di me più lana di quella di un gregge di pecore.
Ancora non aveva capito che Vittorio ed io eravamo cresciuti.
Si era bloccata all'età che avevamo al momento del divorzio e continuava a trattarci da bambini.
Non gliene facevo una colpa. Ogni tanto però, non riuscivo proprio ad obbedirle.
Entrai in macchina di Silvia e trovai Gianmarco sul sedile anteriore.
«Ciao».
«Bel...cappello» commentarono all'unisono.
«Fanculo» risi e me lo tolsi subito.
«Nessuno mi ha ancora detto perché andiamo a questa partita» sottolineo Silvia, iniziando a guidare.
«Non gliel'hai spiegato?»
«Non c'è niente da spiegare» risposi.
«È per Federico» rivelò Gianmarco.
«Quel Federico?Quello dei messaggi?»
«Sì».
«E perché andiamo al Franchi?»
«È Federico Chiesa» ammisi, prima che lei cominciasse ad urlare.
«E tu non me l'hai detto?»
«Ora te l'ho detto».
«Lo hai visto?»
«Ieri sera» mi precedette il ragazzo, a cui, sicuramente, il numero venticinque aveva spiattellato tutto.
«Che ti ha raccontato esattamente?» gli domandai con nonchalance.
«Che gli hai rubato il cuore».
Il mio si fermò fino a che non disse: «Scherzo».
Quando arrivammo allo stadio, Gian chiamò subito il suo migliore amico, che, dal campo, venne a salutarci.
Non appena mi vide, cominciò a sorridere.
«Ei» disse, più rivolto a me che agli altri.
«Silvia, piacere».
«Federico».
«Oh, lo so chi sei» ridacchiò lei.
«Che dici se prendiamo posto?» le domandò il suo quasi ragazzo.
Non avevo ancora capito che cosa ci fosse tra quei due. Ero certa che fossero andati a letto, ma non ero sicura che la loro relazione fosse ufficiale.
«Certo».
Se ne andarono e lasciarono me e Chiesa da soli.
Cercai di distogliere l'attenzione dalle sue iridi scure e mi guardai attorno.
La curva era gremita.
«Cinquanta persone ah?»
«Forse un pò di più» rise ed io scollegai il cervello per un paio di un secondi. «Tu stai bene?»
«Sto benissimo».
«Anche io adesso»
Qualcuno lo chiamò e lui dovette congedarsi.
Mi guardò dispiaciuto e mi stampò un fugace bacio sulla guancia destra.
«A dopo».
«A dopo» ripetei, raggiungendo gli altri.
La mia testa procedette nell'analizzare la situazione, man mano che il genovese correva sull'erba.
Il responso che venne fuori fu uno solo: ero fottuta.

Stubborn Love / Federico ChiesaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora