33. Quello che dicono gli occhi.

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"Sei impazzito mettimi giù!" Sbraitai inutilmente contro la sua schiena.
Le sue braccia continuavano a stringermi in una morsa da cui non avevo scampo.

"Disperarti non servirà a niente" borbottò. Sembrava quasi che fosse lui quello arrabbiato. Il colmo.

Uscì dal locale, sotto gli occhi sconcertati di tutti. Probabilmente, da sobria, sarei morta dalla vergogna.
Emisi un sospiro di sollievo non appena i piedi toccarono nuovamente terra, accanto alla sua moto.

"Sali" asserì.
"Non voglio salire. Non puoi decidere tutto tu" mi impuntai, puntandogli il dito contro.
"Posso se tu non ne sei capace" replicò piccato.

"Cosa vorresti dire?" Domandai assottigliando lo sguardo.
"La tua amica ti lascia da sola continuamente, credi di essere in grado di tornare a casa, senza fare cazzate?" Abbassai lo sguardo.

"Sono abbastanza grande per un babysitter!" Affermai allontanandomi.

"Alle volte sembra piacerti il babysitter"
Deglutii faticosamente.
"Di che stai parlando?"

Mi raggiunse, restringendo la distanza che ci separava drasticamente.
La sua mano mi sfiorò il braccio scoperto, provocando scariche elettriche lungo tutto il corpo.

"La tua pelle, la sento tremare non appena ti tocco" soffiò al mio orecchio con un tono maledettamente erotico, facendomi girare la testa.

"Sappiamo entrambi che la mia presenza è gradita" ammiccò, allontanandosi di scatto.

"Dovevi trattarmi male un'altra volta da aggiungere all'elenco di quelle di oggi?" Sbottai coraggiosamente.
"Bé allora torna a baciarti qualche modella" Le sue labbra si incurvarono.

"Sei gelosa?"
"No, non lo sono" ribattei in imbarazzo.
"Non devi, non hanno niente di cui andare fiere" aggiunse, ignorando la mia risposta.

"Andiamo" e quella volta non dissi niente, lo seguii soltanto fino alla moto.
"Non posso andare a casa." Sentenziai dopo aver riflettuto qualche istante.
"Mio padre non può vedermi così" spiegai.

"D'accordo. Tieni" Un enorme sorriso si fece spazio sul mio viso.
"Non dirmi che hai preso il casco!" Esclamai euforica.

"L'ho trovato in garage" borbogliò distogliendo lo sguardo.
"Sono fiera di te!" Constatai, rubandogli un sorriso. Salii con sforzo disumano in sella alla moto.

"Hai visto? Non ho sempre bisogno del tuo aiuto" mi vantai.
"Diciamo di sì" bofonchiò.

Strinsi timidamente le braccia al suo busto, ed approfittai della solita ed eccessiva velocità per godere al massimo di quella vicinanza che sapevo non avrei riavuto così presto, se non mai più.

Già, ne ero pienamente consapevole, il giorno dopo le cose non sarebbero cambiate, ci saremmo comportati come perfetti estranei, come se niente fosse successo.

Eppure no, non mi importava affatto. Volevo vivere il momento senza pensare al resto, senza pensare a niente.

La moto si fermò sul ciglio di una strada poco dopo, era la stessa piazzola della precedente volta. Scendemmo entrambi e senza proferire parola ci sedemmo sulla panchina.

"Ti piace questo posto?" Domandai, rompendo il silenzio.
"Mi è indifferente"
"Tutto ti è indifferente" gli feci notare stranita.
"Può darsi" sbuffai.

"Non ti lasci mai andare, vero?"
"Dovrei?" Fece le spallucce.
"Perché rispondi alle mie domande con altre domande?"
"È quello che hai appena fatto tu" alzai gli occhi al cielo.

"Tu mi stordisci molto più dell'alcol" Sentenziai, preoccupata.

"C-che stai guardando...?"
Farfugliai, quando mi accorsi che il suo sguardo si era soffermato sulla scollatura del vestito che Chloe mi aveva costretto ad indossare.

"Mi viene naturale" Riportò gli occhi sui miei ed io tossicchiai agitata, non appena udii la sua risposta.
"Confondere le persone, intendo"

"Oh sì scusa, cosa vado a pensare come una stupida? Ho decisamente bevuto troppo" parlai a raffica.
"Quando eri brilla non arrossivi" Avvampai ancor più, per quanto possibile, sprofondando nell'imbarazzo più totale.

Scoppiò a ridere.
"Tranquilla, pur volendo avrei bisogno di un microscopio per ammirare ciò a cui ti stavi riferendo tu. Non prenderla sul personale, dico solo che le dimensioni non sono il tuo forte" ridussi gli occhi a due fessure.

"Non ci trovo niente da ridere" mi imbronciai.
"Scusa ma fa ridere, quando provi ad incazzarti" scossi la testa, accennando un sorriso.

"Quando sei arrivata a Chicago?"
Tornò serio all'improvviso.
Mi stava davvero facendo una domanda?
"Poco meno di un anno fa, lo scorso febbraio"

"È per questo che non ti avevo vista" osservò, assottigliando lo sguardo.
"Sono venuta qui, dopo che mia madre è morta" aggiunsi con un nodo alla gola.

Ne avevo parlato soltanto con Chloe e Dylan, ma in quel momento lo avevo fatto di nuovo, con lui ed in modo spontaneo.

"Mi dispiace" mormorò, era sincero ed altrettanto in difficoltà.
"È passato un po' di tempo. Non l'ho superato, ma ci sto provando. Era l'unica cosa che avevo" raccontai, con gli occhi umidi.

"Perché mi stai dicendo questo?"
"Non lo so, forse perché mi fido di te" ammisi.
"Come puoi fidarti di me se di me non sai niente?" Mi scrutò con aria interrogativa.

"A volte gli occhi tradiscono, parlano anche quando forse non dovrebbero" sussurrai con un fil di voce.
"E cosa ti hanno detto?" Gli occhi blu puntarono i miei, con un'intensità tale da far tremare pelle, testa e cuore.

"Mi hanno detto che c'è molto di più. Che tu sei di più, molto più di quanto tu voglia far sembrare. Mi hanno detto che nascondi molto, troppo, ma solo perché non vuoi essere ferito, solo perché non vuoi che gli altri sappiano il perché hai sofferto così tanto, il perché adesso sei quello che sei."

In pochi attimi gli avevo confessato ciò che pensavo di lui, e diavolo, mi sentivo così bene.

Alzai lo sguardo, non lo avevo mai visto così. I suoi occhi erano diversi, più caldi, più belli.

Talmente belli da far paura anche alle tenebre.

La tempesta che mi ha travolto.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora