36. Così dannatamente distratta.

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Caleb's pov.

Quel martedì mattina, il cielo era del colore del fumo che fuorusciva dalla mia bocca, ed il mio umore non era da meno. Inoltre, svegliarsi alle sette del mattino, dopo aver ascoltato tutta la notte i gemiti di Jacob ed una delle sue amichette, non era decisamente tra i miei piani.

"Tieni" afferrai la bottiglia di succo che Bret mi aveva lanciato.
"Ultimamente sei esageratamente nervoso" mi fece notare, sedendosi su uno sgabello.
"Non mi dire..." Alzai gli occhi al cielo.

"Dimmi un po', c'entra qualcosa una certa Kylie Bennet" gli lanciai un'occhiata torva.
"Ho ben altro a cui pensare, cose molto più importanti, come già sai" risposi, alzando il pollice in su.

"Ma si può sapere invece, perché ieri a mensa dopo averti parlato era sul punto di piangere?" mi irrigidii. 

L'immagine dei suoi occhi umidi, nitida nella mia mente mi offuscava il cervello.

"Chloe mi ha raccontato un po' di cose,
che sta succedendo Caleb?"

"Non sta succedendo un cazzo, come è giusto che sia" sbottai di punto in bianco.
"L'hai baciata, merda! Neanche me lo hai detto" mi zittii per un attimo e sospirai pesantemente.
"Ho baciato decine di ragazze prima d'ora"

"Nessuna era minimante paragonabile
a lei e questo lo sai bene"

Scossi la testa, solo per far sembrare ciò che aveva detto un po' meno vero.
"Dove vuoi arrivare con ciò?" Domandai, portando nervosamente la sigaretta alla bocca.

"Non farle del male, Caleb" Distolsi lo sguardo.

"Non lo sto facendo" replicai.
"E allora spiegami perché stava piangendo! Sai di solito lo si fa per un motivo. Che le hai detto?" chiusi gli occhi qualche istante.

"Quello che le sto dicendo da giorni: di starmi lontana" Affermai.

"Ti piace?" Sgranai gli occhi.
"Ma di che stai parlando? In ogni caso, non ho intenzione parlare con te dei miei cazzi" Mi alzai, con i nervi alle stelle.

"Che succede? Ho sentito parlare di piacere" sghignazzò Jacob, entrando nella stanza.
"Vuoi discutere della tua nottata?"

"Ok, non sei di buon umore" alzò le mani in segno di resa.
"Finalmente ci capiamo" afferrai la giacca, ed uscii dall'appartamento, sbattendo la porta con abbastanza forza da sentire il rimbombo del rumore per tutte le scale.

***

Parcheggiai la moto, solito posto. Nessuno aveva mai osato sottrarmelo, e questo era uno dei tanti vantaggi di essere il più temuto della scuola.

La maggior parte dei ragazzi mi evitava come la peste, o per la mia fama, o per una scopata finita con la classica delusione sentimentale.
Soltanto i drogati mi si avvicinavano ormai.

I drogati e Jenna.

"Tesoro" Il suo corpo ondeggiante mi si parò davanti.
"Non è il momento" la informai.
"Hai bisogno di rilassarti" sorrise maliziosamente, posando le sue mani sulle mie spalle.

Mi ritrassi dal suo tocco.
"Ti ho detto che non devi rompere il cazzo" ribadii, sorpassandola e lasciandola di stucco.

Quelle sue attenzioni che prima trovavo attraenti stavano diventando a dir poco irritanti.
Mi guardai intorno, alla ricerca di qualcuno.

Inutile dire di chi si trattasse.

Mi portai una mano alla fronte, dovevo smetterla. Doveva uscire dai miei maledetti pensieri, ma ciò divenne ancor più difficile quando finalmente la vidi.

Camminava verso l'entrata, o almeno questo era quanto stava facendo prima di cadere con il culo per terra.

Non riuscii a trattenere una risata, era davvero così fottutamente distratta da non accorgersi di una cazzo di panchina.

Il sorriso mi si spense, quando il suo viso si contorse in una smorfia, supposi, dettata dal dolore.

Si era fatta davvero male?

L'istinto, ormai diventato irrefrenabile, mi suggerì di raggiungerla, ma colui che vidi arrivare me lo impedì.

Mi bloccai, osservando un qualche coglione afferrarle la mano e sollevarla. Estrassi una sigaretta dalla tasca e l'accessi.

Perché cazzo gli stava sorridendo in quel modo?

Dovevano conoscersi, dal modo in cui discutevano. Kylie si sedette con il suo aiuto sulla panchina.
Additò la gamba destra, quella che doveva farle male, e la mano del cazzone si posò su di essa.

La nanetta si voltò nella mia direzione, nel momento in cui la cicca  della sigaretta venne stritolata tra le mie dita.

Il suo sguardo assunse tutt'un altro assetto.

Con passo sostenuto, mi portai, nel giro di pochi secondi, al loro fianco.
"Kylie ti porto in infermeria" Asserì il ragazzo, ignorando la mia presenza.
"Non scomodarti, ci penso io" esordii, lasciandogli un'occhiata torva.
"Scusa amico, ma non vedo cosa c'entri tu adesso"

"Già, d-dovresti andartene" farfugliò la ragazza distratta.
"Altrimenti?" La sfidai, inchiodando i miei occhi nei suoi. Sapevo che bastava davvero poco per mandarla in crisi.

"Altrimenti m-mi metto a urlare" assottigliai lo sguardo.
"Allora dovrò far in modo di tapparti la bocca" ammiccai, passandomi la lingua sul labbro superiore.

"Ehi adesso basta, sono qui!"
Intervenne il coglione.
Alzai gli occhi al cielo, e non degnandolo di considerazione, posai le mani dietro la schiena e sotto le ginocchia di Kylie, sollevandola di peso e sottraendola a quella sgradevole situazione.

Varcai la soglia dell'ingresso, ignorando gli occhi di tutta la scuola puntati addosso e le lamentele della ragazza che portavo in braccio, le cui guance si erano inevitabilmente tinte di rosse.

"Tu non stai bene!" Sbraitò dimenandosi. "Non sono io quello che come un coglione si è schiantato contro una panchina" raggiunsi l'infermeria, e la liberai dalla mia presa, lasciandola nelle mani della signora addetta alla medicazione.

Mi guardò male, ma io la salutai, scuotendo una mano e ridendo sotto i baffi.

Stronzo? Sì, lo ero.

La tempesta che mi ha travolto.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora