80. Scegliere la libertà.

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"C'è qualcun altro lì dentro? È importante" gridò il pompiere, mentre altri due uomini aiutavano Caleb a camminare fino ad un luogo sicuro.
"M-mio padre" biascicai, con il cuore che pompava disperatamente nel petto.

"Percorrete il corridoio centrale, poi svoltate a destra nella sala pranzo, dovrebbe essere l'ultima porta. Poi sulla sinistra attraversate un altro corridoio che conduce fino al salotto dove era l'ultima volta che l'ho visto" il vigile del fuoco annuì, e con la sua squadra entrò all'interno della casa, mentre le pompe spruzzavano con potenza l'acqua in ogni zona della villa ormai distrutta.

Una donna di mezz'età venne verso di me e mi avvolse una coperta attorno alle spalle.
"Come ti senti? Va tutto bene?" domandò con fare premuroso.
"Credo di star bene" mormorai con lo sguardo perso. Il destino sembrava remarmi contro, in tutti i modi possibili.
"Vieni con me, ti portiamo all'ospedale insieme al tuo ragazzo" sentenziò, guidandomi fino ad un'ambulanza.
L'intero cortile della villa era circondato da mezzi di soccorso.

"Vorrei aspettare che trovino mio padre"
Dissi, dopo qualche minuto, con la voce rotta.
"Io non credo sia il caso. Forse è meglio se..." non fece in tempo a terminare la frase. I vigili del fuoco uscirono da quell'inferno, sorreggendo il corpo di mio padre. "Kylie!" urlò Caleb qualche metro più in là, scrollandosi di dosso gli uomini per raggiungermi con la gamba dolorante.

Gli sguardi dei pompieri parlavano da sé.
Non c'erano speranze. Gloomy, l'uomo più pericoloso di Chicago aveva raggiunto la sua fine. Mi strinsi un labbro tra i denti e mi gettai a terra, lasciando che un grido sfuggisse alla mia bocca.
Le lacrime mi solcarono con violenza il viso, finché due braccia forti non mi avvolsero le spalle deboli. Non ebbi bisogno di girarmi per capire di chi si trattasse.

"I-io lo odiavo, ma non volevo questo, Cal. Speravo in una fine diversa" singhiozzai, percependo il calore delle sue carezze.
"Lo so, Ky. Non è colpa tua" mi asciugai le lacrime con il pollice.
"Non è colpa tua" ripetè in un sussurro.
Era scosso quasi quanto me.

"Ragazzi dobbiamo andare" intervenne la donna, conducendoci di nuovo all'ambulanza. Salimmo a bordo, il veicolo partì. Dal finestrino dietro di me pian piano la maestosa villa si fece sempre più piccola fino a scomparire del tutto.

***

Dopo i dovuti accertamenti, anche i medici constatarono che inspiegabilmente non avevo riportato alcun danno.
Caleb, invece, per via del forte impatto con il pavimento a seguito dell'esplosione, si era procurato una frattura alla gamba destra. In ogni caso potevamo sicuramente ritenerci fortunati viste le circostanze.

"Può entrare, signorina" mi informò, un'infermiera, indicandomi la camera d'ospedale che era stata assegnata al mio ragazzo. La ringraziai, e feci il mio ingresso nella stanza, lasciando che i miei occhi divorassero quelli di Caleb, disteso sul letto bianco, con la gamba ingessata, sollevata in aria.

"Come stai?" Chiesi dolcemente, prendendo posto sulla sedia posta al suo fianco.
"Adesso che sei qui sto bene" mormorò, afferrando la mia mano per incrociare le sue dita con le mie.
"E tu? Come stai?" mi strinsi nelle spalle.
Ero distrutta, ma cercavo in tutti i modi di nasconderlo. Per lui, per noi.
"Sto provando a scollegare la mente. Se mi fermo a pensare è la fine. È come se il mondo mi stesse crollando addosso"
risposi, con gli occhi lucidi.

"Vieni qui" ordinò, indicandosi.
Mi avvicinai a lui, posando la testa sul suo petto. Avevo bisogno che quelle braccia mi stringessero fino a togliermi il fiato.
"Ti porterò via da questo inferno, te lo giuro" sussurrò al mio orecchio.
"Saremo solo io e te, lontano da tutto e tutti" abbandonai quelle lacrime che premevano contro le mie palpebre, lasciando che mi cullasse.

"Non mi è rimasto più niente. Sei l'unica cosa che ho, Cal" singhiozzai. Sembrai quasi una bambina in quel momento, ma non me vergognai. Sapevo che lui avrebbe accolto ogni lato di me senza esitazioni.
"Shh...sarò tutto quello di cui avrai bisogno, te lo prometto" lo credeva davvero e lo crebbi anch'io.

Ci allontanammo soltanto quando udimmo qualcuno bussare alla porta della stanza.
"Avanti" pronunciò Caleb, alzando gli occhi al cielo. Odiava essere interrotto.
A quel consenso, la porta si spalancò ed un uomo vestito elegantemente di nero si fece avanti. Era uno degli uomini di mio padre tra quelli che ci avevano accompagnato a Madison.

"Scusate il disturbo. Io sono Andrew, il braccio destro di tuo padre Joseph" esordì l'uomo, rimanendo a debita distanza.
Sentire il nome di mio padre fu un'altra crepa per il mio cuore.

"Dica pure" lo incitai mestamente. Non potevano che essere ulteriori cattive notizie. Gli occhi di Caleb lo squadravano dall'altro in basso in attesa di trovare un valido motivo per fidarsi di quell'uomo che in linea teorica era un suo nemico.

"Nell'ultimo periodo Joseph sapeva che le cose si stavano mettendo male per lui, e sapeva che il rischio che la sua vita terminasse da un momento all'altro era un rischio che stava correndo. Per questo motivo ha voluto assicurarsi che sua figlia avesse garantita la sicurezza più assoluta, nel caso in cui la sua morte fosse diventata realtà" spiegò brevemente, lasciando scorrere le dita tra le ciocche dei capelli biondi cenere.

"E ha voluto che io le lasciassi questa" disse, porgendomi una busta bianca. La scrutai confusa, per poi afferrarla titubante. Mi voltai verso Caleb, il quale con un cenno del capo mi invitò ad aprire la busta.
Estrassi lentamente la lettera, e dispiegai il foglio marchiato di inchiostro nero:

"Per Kylie Bennet:

Figlia mia, se stai leggendo questa lettera significa che io non ci sono più.
Ebbene sì, le cose non sono andate come speravo ed alla fine mi sono ritrovato solo. Ho perso tua madre ed ho perso te, le uniche due donne della mia vita per semplice e puro egoismo.

Non ci sono parole per descrivere il mio pentimento, né per far sì che tu comprenda le mie ragioni o anche più semplicemente la sincerità del mio affetto nei tuoi confronti. Non mi aspetto il tuo perdono, so per certo che non merito la compassione di una rosa, a cui inconsciamente ho strappato i petali.

Ma ti prego, lascia almeno che dal cielo io mi prenda cura di te, come non sono riuscito a fare quando ancora ero in vita.
Voglio rimediare, donandoti il futuro che meriti. Voglio che tu abbandoni quel mondo non degno di te e che tu possa ricominciare a vivere come hai sempre sognato.

Lascia Chicago, Kylie.

Se ami davvero quel ragazzo, allora fuggi con lui e inizia tutto da capo, lì dove nessuno ti ricorderà come la figlia dell'uomo più malvagio della città, lì dove potrai essere chi hai sempre voluto essere.

Tu, che a differenza mia avrai il coraggio di farlo, metti un punto a tutta questa storia ed iniziane una con un lieto fine:

Via blanca , Habana del Este, L'Avana, Cuba.

C'è una casa che ti aspetta, lontano da tutto e da tutti. Una casa in cui potrai crescere i tuoi bambini a due passi dalla spiaggia, e svegliarti ogni mattina con il mare davanti agli occhi, divinamente azzurro come le tue incantevoli iridi.
Lì dove non dovrai più fuggire dal male.

Se tu lo vorrai, Andrew organizzerà in men che non si dica un volo per Cuba, ti fornirà tutte le informazioni che richiederai, e ti procurerà ogni cosa di cui avrai bisogno in questo tuo viaggio.
Per te ed eventualmente anche per lui, se è ciò che desideri.

È tutto pronto, Kylie. Tu devi solo decidere se arrenderti al destino o lottare per raggiungere la felicità vera.
In ogni caso, tu scegli la libertà.
Scegli di essere libera, perché anche se l'ho capito tardi, un corpo senza libertà è un corpo senza anima.
Addio Kylie.
Buon viaggio.
Qualunque sia la meta, buon viaggio.

Con amore,

Tuo padre Joseph."

La tempesta che mi ha travolto.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora