Amolo

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In quest'ultima primavera ho scoperto quanto io mi sia invaghita dei miei giacigli; non mi sono preoccupata di osservare la fioritura dei miei fiori interni alla mia anima. Non li ho visti colorarsi di lavanda, di blu, di glicine e di rosso. Non ho abbeverato il mio geranio e la mia camomilla per decenni, ma loro sono rimasti in vita; intrappolati qui dentro, insieme a me e i miei capricci distorti e turbolenti.

E sotto la brina rilasciata da quest'ultima decade ho compreso, davvero, che io non esisto.

Sono solo un'ologramma scampato alla tempesta di fronde esauste. Sono soltanto il frutto dell'impresa esistenziale di un altro essere umano, o di qualcosa di più infimo; creata, per assorbire necessità di dolore, creata per scampare alla propria sconfitta. Ed io, questa vita, l'ho assorbita tutta fin dagli inizi. E mi è mancata, quando l'ho abbandonata; e mi è mancata, quando l'ho sentita così vicina al mio mondo e, infine, mi è mancata, quando i suoi scorci li ho persi per strada, mentre camminavo scalza sui vetri.

Non so chi sia stato a creare questa dimensione, ma è stata una vera e propria agonia rimanerci intrappolata.

E' stata un'agonia persino sorseggiare della semplice acqua; cibarmi di pasti, che ho odiato fin dalla mia genesi; è stata un'agonia vestirmi, truccarmi, agire, comportarmi e ferirmi.

Ma sono rimasta qui, a cercare quel collegamento che sentivo perso.

Sono rimasta a cibarmi delle mie ossa e dei miei tendini, che ho poggiato sul collo credendo fossero una corda.

Sono rimasta per ricollegare attimi del mio primo decennio qui dentro, che credevo avessi perso.

Per ricordarmi di quel viso, così succinto e vanitoso; di quelle mani che suonavano quel violino, e di quella bocca, che riusciva ad emettere suoni così gradevoli da farmi cedere le ginocchia.

Sono rimasta, per avere ancora memoria di noi, dentro la mia testa. Ma tu, fuori di me, forse, non sei mai esistito. E anche tu, sei un frutto che non è mai stato raccolto; che è rimasto a maturarsi per anni attaccato morbosamente al proprio albero; un frutto che è rimasto, infine, per marcire.

E la tua puzza l'ho sentita dentro le narici negli ultimi cinque anni, più di qualsiasi altro odore. Ed è per questo che non mi sono più presa cura dei ciclamini e dei crisantemi, che sono nati, quando ho emesso il mio primo pianto su questa terra.

Non mi sono più presa cura di quel tuo albero e delle sue intemperie nei confronti del gelo; non l'ho visto mai fiorire, mai denigrare gli insetti impollinatori, mai esibirsi in una maestosa fioritura di colori spasimanti di radiazioni luminose.

E mi sono scordata perfino della tua musica e di quel violino che suonava così tanto triste sulle tue mani da sentire il suo grido d'aiuto.

Ma è stato quel violino a scalfirmi la faccia. A disegnarmi gli occhi, un nasino, delle labbra e due orecchie; è stata la musica a darmi il respiro, a riempirmi d'aria i polmoni. Sono state le pause di quella sinfonia, che mi hanno regalato i privi brividi.

E quando hai smesso di suonarmi addosso, io, ho smesso di ascoltare la musica. Non mi ha più interessata. Io, ho smesso persino di produrla, attraverso le mie parole.

Sono rimasta in silenzio dentro questo posto scocciato di esistere e nessuno, è venuto per togliermi dalla fronte questo freddo. Nessuno, è arrivato per asciugare con le proprie mani, i miei pianti così estenuanti e inammissibili.

Nessuno è arrivato, perchè io non ho mai aspettato nessuno.

Credevo di essere da sola fin dalla mia creazione; non mi sono mai costruita false speranze ma soltanto demoni, che mi hanno accompagnata ogni giorno, dentro quel ripostiglio, divenuto la mia dimora più grande e pulita.

Lì dentro, ho percepito le sensazioni più estranee dal mondo, ho raccolto i frutti più belli degli alberi degli altri e mi sono emozionata quando ho osservato il sole, che brillava sul mio riflesso.

E dentro quel mondo, fissato dentro il mio posto, ho pianto, fissando queste foglie così colorate di sangue scarlatto.

Dentro questo mondo sono rinata, accanto al mio Amolo, che non ho più lasciato, una volta ritrovato.

Ho ascoltato la sua musica, prodotta dai suoi rami longilinei; ho ascoltato la gioia dei suoi germogli, finalmente vivi e robusti. E l'ho abbracciato, ogni volta che il vento desiderava assorbirne la linfa e spodestare le sue forti radici dalla mia terra.

L'ho abbracciato e tenuto così stretto al mio corpo, tanto da divenire io stessa un pezzo di esso.

I miei capelli erano parte integrante dei suoi rami nodulosi, il mio collo era la sua base; dal mio sterno sorgevano cotiledoni pimpanti; dalle mie orecchie, la sua musica scorticata e abissale; dalla mia bocca i suoi fiori più belli e profumati. Bianchi, come i miei bulbi, che si riempivano della sua luce.

E le mie gambe sono divenute le sue radici e l'ho aiutato in tutti i modi per farlo rimanere in vita e solo nel momento cui ha osato fiorirmi addosso, ho rantolato un ultimo pianto così genuino e singolare da regalargli una dose di vitamine per crescere più forte.

E accanto al suo tronco, finalmente, non mi sono vergognata di sentirmi parte di qualcosa o parte di qualcuno; non mi sono vergognata di piangerci addosso, di asciugarmi con le sue foglie, di sentirmi unica col mio mondo. E non ho avuto paura di uscire da quel ripostiglio, da quel posto che mi attenuava ogni secondo della vita.

Ero parte della sua natura e lui, parte della mia. E la nostra terra poteva essere finalmente così rigogliosa da far invidia agli altri esseri. Poteva finalmente spoderare i suoi colori e divenire meravigliosa, dentro questo buio così scottante.

E, soprattutto, finalmente, non avevo più paura.

Potevo lasciare quel posto così anfratto e sporco, che mi ha contornato il decennio più solo.

Potevo, finalmente, realizzarmi accanto al mio tronco, accanto alla mia essenza.

Potevo, finalmente, scappare dalla mia testa così stanca e pesante.

Potevo, ancora, essere un'identità e mai più un'ologramma. Potevo essere qualcosa.

-Un Amolo in divisa, arrivò soltanto per curare la mia erba, il mio prato così spento. Arrivò per allontanare i miei incubi, per riavvicinare le mie espressioni e per sbattere i tristi soldati infimi sugli scogli.

Un Amolo così solo ed esausto, arrivò soltanto per cibare le mie spine, per consegnare ancora i colpi al mio fucile; per rassegnare il mio posto e la mia mente.

Arrivò in silenzio, senza accorgimenti.

Arrivò e divenne lui stesso, il mio ologramma.-

"E mi lasciai perdere, dentro queste foglie.

E mi lasciai perdere alla sua musica.

E mi lasciai perdere, dentro me stessa.

E mi lasciai perdere, dentro questa nostra natura

che non fu più sola."


EdicarpiWhere stories live. Discover now