Tu cosa sei?

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 Questi petali li ho lasciati riposare per tutto il periodo invernale; sono rimasti indifesi dentro il proprio bocciolo, aspettando la temperatura esatta per poter fuoriuscire e seminare di colori il mio prato.  

Hanno raccolto i propri spasmi vegetativi, spinti dal vento e dalla pioggia, che hanno provato a renderli tristi e privi di senso; hanno provato a creare una scorciatoia, tra la vita e il proprio germoglio e la morte e le proprie spine.

Ma sono quest'ultime che si sono fatte strada per prime; sono le spine che hanno lasciato il primo segno su questo arbusto, dentro quest'ambiente e in questo mondo. Le spine hanno rilasciato il loro primo passo sul mondo, così silenzioso e snervante da essere persino ingannevole. Sono nate su questi rami color bronzo, così decorticati dalla stessa natura e infimi, nel proprio linguaggio. Hanno decorato di lasciti questo posto, ormai morto e decomposto; ormai spento e solo; ormai riunito di decine di mortai e di bombe, pronte per esplodere, pronte per lasciare il nulla, dentro questo niente che si colora delle nostre sfumature.

E' cresciuto accanto al mio Amolo e di esso, ha preso i colori, la forza, le radici; gli ornamenti e le paure, scordandosi di prendere anche un po' del mio corpo, che è rimasto dimenticato dentro la chioma dell'Amolo sfrontato e inusuale per questo posto, ormai troppo verde e sublime. Sono rimasta incollata alle sue foglie indifendibili e oneste; ho conosciuto tutto il suo mondo, i suoi cicli biologici e mi ha nutrita tutti i giorni, con la sua linfa così zuccherata. Mi ha nutrita con le sue bacche poco carnose e mi ha dato l'acqua, ogni volta che il mio corpo ne ha necessitato il bisogno. L'ha prelevata dal terreno, attraverso la sua parte ipogea e mi ha abbeverata con le sue radici, così profonde e pieni di minerali, che per ogni sorso ho riacquistato scorci di ricordi che credevo fossero andati persi per sempre. E mentre il mio Amolo, mi ha sempre protetta e curata, lui non è mai riuscito a farsi avanti. Ha provato persino a divenire una pianta rampicante, con le sue radici, ma le mie gambe erano troppo scivolose per la sua sostanza; le mie gambe erano fin troppo lunghe per la sua dirompenza ed io, sono rimasta ad aspettarlo tutto il tempo come una sciocca. Ho aspettato la sua grande fioritura, con queste gambe a penzoloni, con lo sguardo solo costernato ed incollato ai suoi germogli e l'ho sentita tutta intera la sua timidezza e la sua prima paura di mostrarsi al mondo. L'impurità che giaceva dentro i suoi piccoli loculi erbosi che ospitavano famiglie di insetti, che continuavano a cibarsi di ogni sua sostanza prodotta.

Ed io, sono divenuta amica loro. Con l'esercito di Formica Rufa, ho stretto un rapporto quasi morboso. Loro dipendevano dai miei sguardi ed io, dai loro morsi  pungenti e freddi; ho assistito alla nascita dell'esercito dei Cetoniinae, li ho visti crescere e mutare nei propri colori. Ho assorbito perfino il loro riflesso, che rilasciavano sulle foglie. E quando hanno finalmente ritrovato il loro colore, sono esplosi nei miei occhi e ho piagnucolato quando, molti di essi lasciarono la loro prima dimora, ma quelle spine rovinavano i loro nidi.

Ho avuto anche un po' di pieta per la Periplaneta Africana e ho imparato a conoscere le loro singole storie che, come esseri umani, di notte rimanevano da sole con i propri disguidi della vita; rimanevano da sole senza cibo, senza passioni e protezioni. Ho imparato a percepire il loro dolore, le loro sensazioni e mi sono sentita parte della loro comunità quando mi invitarono nel loro nido. Io andai, un po' disgustata; loro si presentarono così disordinate e insormontabili. Così piccole e infreddolite, timide e quasi cattive, ma percepirono il mio senso di pace e di comprensione e conobbi i loro meandri terrosi; aprirono le loro ali dinnanzi ai miei occhi ed io, non ebbi nessuna paura nel sentirmi parte della loro sostanza e della loro unicità.

-E ho rivisto me stessa, quando mi hanno mostrato il loro piccolo grande cimitero; la loro fossa comune, dentro la quale giacevano figli su figli, uccisi dai miei simili, così disonesti e ostinati nel non comprendere.

E ho pianto, quando mi hanno mostrato i loro simili, uccisi dalle mie mani, dalla mia foga e dalla mia rabbia. E dentro, ho sentito un vuoto di perdita che mi ha ornato le viscere dei loro lamenti, che sono rimasti incollati sul ventre. Ho pianto, nel tratto che ho consumato con i piedi, così sporchi che avrei voluto mutilarli e gettarli dentro quella fossa. Per rilasciare anch'io una parte di me, della mia disonestà e della mia rabbia, che non desidero più addosso al mio capo. 

Mi hanno mostrato in che modo le tolsi dal mondo; in che modo smisero persino di respirare.

 Ed io, mi sono sentita anch'io un po' come loro. Ma dopo avermi guidato nella mia penombra, mi hanno mostrato pure il momento in cui ho smesso di denigrarle e ucciderle e ho soltanto compreso che sono esseri proprio come me, facenti parte del mio mondo e della mia terra e che anche loro, come me, hanno soltanto bisogno di comprensione e un po' di pura sensibilità per costruire quel ponte di collegamento, con i miei simili, così difficile da mettere su. E ho messo la parola fine ai nostri disguidi, alle loro lamentele; aiutandole a ritrovare i nidi persi, le dimore antiche dentro quei petali rosa così timidi. Le ho aiutate a ritrovare loro stesse e il proprio senso, che avevano perso in mezzo a quelle foglie immature. -

E di colpo, quest'albero divenne più maturo e invaghito degli esseri che ci vivevano dentro. Continuò a nutrili, a curarli e a cullarli, ogni notte; sotto la pioggia, con le proprie foglie, pronto a difendere quegli esserini così indifesi quanto teneri.

E una notte lo vidi perfino muoversi, avvicinandosi lentamente al mio Amolo.

Mi sono accorta delle sue radici che pian piano, si avvicinarono alle mie gambe.

Mi sono accorta delle sue foglie così verdi opache e meravigliose.

E fu notte, quando i suoi petali toccarono per la prima volta la mia atmosfera. 

E fu notte, quando i suoi colori invasero questo mio prato non più isolato.

E fu ancora notte, quando mi accorsi che il Amolo trovò finalmente un amico, con cui parlare.



EdicarpiWhere stories live. Discover now