Certe sere, mi manchi

11 0 0
                                    

Restavi così fermo ogni volta che ti sfioravo; così immutabile, dentro i tuoi occhi perlati e senza luce. Il tuo manto così morbido e fluido, che mi coccolava le spalle ogni notte. Il tuo cotone, sul quale riponevo tutti i miei giorni e che, mi aiutava a divenire parte di te.

Ed eravamo incastrati, tra la tua natura morta e la mia, che aveva perso tutti i gesti.

Ricordo il giorno in cui sei arrivato dentro casa mia. Tutti ti indicavano, erano felici di mostrarti al mio sguardo; ma io, avevo paura anche di te; avevo paura dei tuoi suoni che, per me, erano soltanto lamenti lenti e tortuosi che mi annidavano maggiormente il nodo allo stomaco.

Ma sei rimasto, nonostante il mio rifiuto; sei rimasto al mio fianco, sul mio letto; accanto al mio cuscino.

E l'ostilità che c'era nei primi mesi, sono riuscita a scacciarla benissimo. Anche quel dannato astio che mi assorbiva i giochi, l'ho mandato via e sono riuscita a ritrovarti.

Sei entrato dentro la mia musica, dentro il mio corpo; sei diventato mio amico, un fratello; la mia finestra. Ogni notte, eri l'ultima atmosfera che sfioravo prima di addormentarmi.

Ogni notte, eri l'ultima goccia di pianto che si posava su questo mondo.

E cercavi sempre di incastrarti dentro i miei mostri, che volevano soltanto squartare il tuo pancino, con le loro lame e i loro denti aguzzi.

Quando mi sentivo nuda, ti toglievo i vestiti e rimanevi inerme, sotto le mie mani.

Quando mi sentivo sola, quasi piangevi cascandomi addosso.

Quando non riuscivo a svegliarmi, mi annerivi i sogni, per sbattermi addosso quel posto che sembrava la tua realtà.

Eri inanimato; non avevi un'anima, una coscienza o una voce per esprimerti.

Ma io ero a conoscenza del tuo strazio, del tuo dolore.

Ti mancava tutto e non avevi niente. E avevi soltanto me come amica che non ero proprio ottima per giocare.

A volte ti mettevo da parte, altre, ti mollavo fuori casa per rimediare rimproveri dai miei.

A volte provavo a mangiarti, per avere la tua gabbia d'esistenza dentro lo stomaco.

Ho provato ad ingerirti durante la notte, per divenire più cattiva, più silenziosa, meno umana. Ma non ho mai avuto il coraggio di dirti addio; non potevo essere straziante anche io, nei tuoi confronti.

Ho cercato di alimentarti i in tutti i modi, ma il pensiero che eri costituito soltanto di stoffa, mi faceva stare male.

Il pensiero che non avresti mai potuto parlarmi, ascoltarmi, consigliarmi o tantomeno salvarmi, mi rendeva pazza.

E sapevo pure di non essere interessante e ti minacciavo ogni notte, di passarti quella lama sul petto.

Minacciavo di ucciderti e di stritolare il tuo cuore così gelido. Non eri la mia gioia, eri solo un infame che continuava ad attaccarmi addosso chiodi irreali. Chiodi che sono divenuti croci. Croci che sono mutate in spine. Spine che, adesso fanno parte delle mie arterie che, sanno ancora di te e del tuo cotone color miele.

Non mi sono mai vantata del tuo rischio; ma ogni volta che ti abbracciavo, portavo un lutto dentro imperdonabile.

Tu eri sempre più gonfio ed io, non riuscivo a prendere un chilo. Quali erano le differenze tra noi due?

Io, se avessi voluto, avrei potuto scappare. Tu, saresti rimasto freddo, al caldo dentro il tuo cuore di marmo che avevi lasciato sul mio letto.

E per anni, sei stato pure il mio Doppelganger. Credevo che fossi un'altra me; un altro mio corpo, buttato come un escremento su questo pianeta. Pronto per prendere i colpi, pronto, per vivere come un topo in gabbia.

Hai cercato persino di scrivere il mio destino, dentro quel treno merci, che era il tuo letame.

Mi hai resa clandestina del tuo cotone, del tuo materiale così asettico.

Ero il tuo vertice, il tuo occulto, la tua legge.

Tu sei stato il mio primo colpo in canna di cannibalismo, la mia prima minaccia, l'aborto, la pace, la mia prima lapide.

E quando non ci sono stati più rapporti tra di noi, ho cominciato a perforarti, per farti provare amore ed odio allo stesso modo. Ho cercato di infilarti la mia ansia, dentro quella batteria che non funzionava. Ho cercato di abboccarti con la mia finta gioia.

E non ho sentito più il contatto, quando ho iniziato ad infilarti dentro quei parassiti immondi che cercavano solo un riparo.

Sei diventato la casa dei vermi, delle blatte, delle lucertole e di tutto il resto dei corpi senza vita che, ogni volta, riportavo a casa con me.

E guardarti, mentre entravi nel tuo orrore, mi allontanava dal mio cuore, dal tuo odore.

Ero l'unica persona che ti aveva considerato e per me eri soltanto una discarica.

I miei sbalzi d'umore non si sono mai scusati.

Il mio freddo non si è mai allontanato dal tuo.

E non ti ho mai apprezzato perchè, eri come me.

E dentro la mia prigione ho intrappolato anche te.

E ti ho perso, a rallentatore.

Ti ho perso, dentro il nostro gelo.

Ti ho perso, regalandoti agli escrementi e non sono più riuscita a ritrovarti.


EdicarpiWhere stories live. Discover now