Che fai?

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E sfiorandoti, non ho provato nessun senso di caduta o perdizione; ti ho sentito così vicino e bagnato, come fossi uno scoglio. Ti ho sentito così imparanoiato, che ho finito per salutarti. Non ti ho udito nemmeno mentre respiravi; non mi sono accorta che stessi provando le tue emozioni, così preziose e vedove di pudore.

Non ti ho abbandonato, perchè non ti ho mai tenuto stretto. E quando ti ho lasciato cadere dalla mia pelle, hai avvertito tutto quel tuo inverno che, ti è morto dentro gli occhi.

Di magico, non c'è mai stato nulla; non sono stata la tua cura, il tuo male; nemmeno la tua abitudine, il tuo cane, il tuo anno, il tuo rimorso più teso e vuoto. Non sono stata nulla, come una goccia d'acqua dentro un maremoto. Sono stata solo un ultimo cadavere; quello che hai, per ultimo, sfiorato e che hai reso, nuovamente, malato e indecomposto.

Sei stato solo un pensiero tranquillizzato e poi picchiato. Ti ho lasciato camminare scalzo sui miei pezzi di vetro, sui miei desideri, sulle mie realtà.

Hai picchiato ogni mia carezza o senso di insicurezza, quindi, io cosa avrei dovuto fare?

Mi sono avvelenata, vibrandomi la testa addosso al tuo parapendio, ogni notte.

Eri la premessa del mio tormento, il disprezzo del mio cuore, l'odio che c'era dentro il mio fiato. Il mio faro così spento e isolato; sospeso sulla tua spiaggia, spiaggiato dai tuoi simili; uguale, ai tuoi artefici, che ti sono tornati tutti contro.

Io, ti ho congelato sotto lo stesso tetto. E ho congelato il tuo tempo, il tuo mattino e mi sono posata sul tuo letto, ogni notte.

E per ogni volta che hai chiuso gli occhi, io, ho invidiato il tuo lascito. Il tuo sospiro notturno, le tue armi e le incomprensioni. Ho detestato la tua resa nei confronti dei tuoi sogni che, apparivano così diversi dai miei.

Hai smesso persino di raccogliere il vento sul tuo viso, di bagnarti riflesso sul mare; hai smesso di essere dentro le mie canzoni, di esistere, dentro ogni mio incubo.

E sei scivolato via così bene che quasi non me ne sono accorta.

Ma, adesso, sei il urlo atroce. La mia indecisione, il mio passato. Sei il mio vomito che si sposta dalle mie braccia, invaghito del mio pavimento chiaro.

Sei la fotta delle formiche che mi trapassano il corpo; sei la vertigine, il mio vuoto, il mio timone e la mia delusione.

Ed io, ho perso il senno dentro queste fronde così annerite.

Ed io, ho perso il mio scoglio, il mio mare.

Mi hai lasciato senza fiato, senza mondo. Ma dentro questo inferno fa così caldo che sto perdendo la mia strada. Non sento più freddo, non ho più voglia di accorgermi, di confondere e di spiegarmi, cosa io sia veramente.

Continui a lasciarmi il sale sulle ferite che non si chiuderanno mai.

Continui ad essere il mio pesce d'aprile, continui a persistere dentro le notti insonni e pure dentro quelle che passo dormicchiando.

"Perchè questo cielo stellato non cambia?

Non mi piacciono le stelle. Non mi sono mai piaciute. Ogni volta che le osservo mi rendo conto che mi trovo sempre sotto di loro. MI rendo sempre conto che continuerò ad essere una preda, poichè non riuscirò mai a brillare come loro. Nemmeno se provassi a squartarmi gli occhi.

Non mi piace neanche il giorno; troppa luce, per questo cielo terso ormai distillato di rancore.

Non mi piacciono questi cieli che osservo ogni notte. Non mi piace questo tempo che non può volare. Non mi piace parlare, conoscere, scoprire.

A me non basta nulla; dai miei occhi cola una sostanza, pensavo fosse bile, ma ancora sto male. Ancora sto male e non riesco a cambiare faccia e, ancora, questo cielo così pieno di stelle non muta.

E sono stanca persino di conoscere le mie esperienze. Dietro di me, la mia ombra, all'ultima corsa; cerca di riprendersi tutto ciò che le manca, ma ogni volta che mi lascia, io, prendo tutto quello che dovrei scartare del mondo.

Non mi piace nemmeno questo posto dove mi hai lasciato.

E' una gabbia ed io, ho così tanta fame. Vorrei sapere come va là fuori. Come giocano gli altri ologrammi e se sono soltanto io, ad esser stata condannata a morte qui dentro.

E' così stretto questo posto e tutto non mi appartiene. Non posso fidarmi nemmeno di me stessa quaggiù. Quaggiù, non riesco a perdermi o a sentirmi forte.

E' di nuovo il mio compleanno.

E io non ricordo più i colori, i veleni e gli odori della mia famiglia che, oramai, non mi aspetta più.

Mi hai mollato dentro la tua bara. Due metri per due. Accanto, ho i tuoi stati d'animo che mi trafiggono le ansie. Dietro ho i tuoi turbamenti, che mi stanno perdendo.

Forse qualcuno mi sta aspettando fuori, ma io sono così piccola che non ho la forza per forzare questo feretro. Non sembro nemmeno io, non sto cambiando. Sto rimanendo piccola, così piccola per tutto questo tempo.

E questo posto, è divenuto casa mia. Ma mi manca guardare il sole sorgere, mi manca l'alba e il suo freddo. Il suo vuoto, mi manca il mio di vuoto che qua dentro si è spento.

Ed è così faticoso rimanere qui dentro. Ovunque io mi giri, vedo i miei capelli, le mie anche, le mie gambe. E so, che non sarò mai nulla. E sono consapevole pure che là fuori, non mi aspetterà mai nessuno ed è per questo che adesso vado via.

Lasciami magari ancora il respiro, per poter correre.

Ho paura.

Ho paura di fuggire da questa gabbia e di rincontrare il tuo sguardo.

Non voglio vederti.

Quest'atmosfera, mi ha lacerato le mani, che hai perfidamente lasciato per rincontrare le sue che, hai finito per amare e dannare.

Adesso, rivoglio quel cielo stellato. Rivoglio la mia famiglia. Rivoglio le mie mani, il mio letto.

Rivoglio la mia gabbia, fuori dalla mia testa innervosita. Rivoglio me stessa, dentro quella gabbia."

Tol Tol TOL toL .


EdicarpiWhere stories live. Discover now