Capitolo 3

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Sei anni dopo...

Jeanine mangiava pigramente i suoi cereali, mentre al telegiornale passava l'ennesimo servizio che riguardava la piccola comunità di modificati (il nome assegnato ai semiumani) che stava cercando di ribellarsi ai continui soprusi della gente.

Non avrebbe funzionato, e lei lo sapeva, eppure sperava che quei pochi ribelli avrebbero cambiato qualcosa in quella società malata.

Erano passati sei anni da quando suo padre rese pubblica la scoperta della mescolazione genetica, ma ne bastarono solo due per farla concretizzare e diffondere ovunque.

Lei sapeva che non l'aveva fatto con cattiveria, eppure non riusciva a perdonarlo per aver concesso alle grandi multinazionali l'utilizzo dei modificati per lavorare.

In base alla loro tipologia venivano impiegati in lavori diversi e, purtroppo, una grandissima parte di essi veniva utilizzata come servitù, oppure tenuta giusto per potersi vantare del possederne uno.

La gente però, non riusciva ad accorgersi del loro essere anche umani, dotati quindi di pensiero, opinione e sentimenti, ma vedeva solo il lato terribilmente frivolo della situazione, trattandoli come fossero semplici animali esotici.

Jeanine non aveva mai voluto entrare in contatto con queste creature, per qualche ragione si sentiva a disagio e quasi in colpa, anche se non aveva mai fatto nulla di male.

Si sentiva male nel pensare che lei era lì, nel completo confort di casa sua, seduta al tavolo a mangiare cereali, mentre migliaia di loro o venivano costretti a lavorare, o dovevano stare al completo servizio di ricchi signori che gli vietavano anche di parlare tra loro.

Le passò l'appetito, quindi si alzò e andò a farsi una doccia.

L'acqua calda scorreva sulla figura della giovane donna, curve delicate le decoravano il corpo e i capelli le raggiungevano i fianchi.

Aveva pensato spesso di tagliarli, ma non ne aveva mai avuto il coraggio.

Il volto era maturato parecchio rispetto a qualche anno prima, gli zigomi si erano fatti pronunciati e il suo essere abbastanza magra faceva apparire le sue guance un po' troppo incavate. Le labbra rosee non erano troppo pronunciate e quando si schiudevano in un sorriso venivano decorate da due piccole fossette proprio ai lati.

La schiuma scivolava lenta sul suo corpo, mentre nel frattempo il padre rientrava a casa.

Non era stata una giornata facile per lui, però non aveva altra scelta che andare avanti, facendo finta che i sensi di colpa non lo logorassero giorno dopo giorno.

Entrò come al solito nel suo studio e sospirò nel vedere il tremendo disordine che decorava tutta la stanza.

Elizabeth l'avrebbe ucciso, se ci fosse stata.

Sorrise nel pensarla, se fosse stata lì si sarebbe piantata con i piedi davanti a lui e avrebbe messo le mani sui fianchi, per poi guardarlo corrucciata e rimproverarlo per aver fatto tutto quel casino. Poi si sarebbe messa all'opera per sistemare e gli avrebbe sorriso, nel chiedergli a che cosa stava lavorando stavolta.

Gli mancava così tanto...

Jeanine si era appena vestita quando sentì suo padre entrare nello studio.

A piedi nudi si avvicinò alla porta socchiusa, per poi guardare dentro.

Chris Rose sembrava così piccolo in quella stanza, circondato da quel disordine sembrava spaesato, mentre guardava il vuoto.

Lei non l'aveva mai visto così, o forse non aveva mai voluto pensare che suo padre potesse provare sentimenti, visto che nei suoi confronti portava sempre indifferenza.

-Quante volte devo dirti che non devi entrare o guardare nel mio studio, Jeanine?-

Lei sussultò, per poi sentirsi tremendamente triste.

-Scusami, me ne vado.-

Lui non disse niente e la lasciò uscire, sentendosi ancora più vuoto di prima.

Jeanine si chiuse nella sua stanza e si sdraiò sul letto morbido.

Nonostante fosse sempre stato così, la freddezza di suo padre, anche se lei aveva ormai 18 anni, le faceva ancora male.

Blooming and withering Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora