Chapter III

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Delle sagome umane erano state disegnate goffamente su dei vecchi materassi e una serie di coltelli erano poggiati su un tavolo lungo.

-Oggi impareremo a lanciare i coltelli- dissi mentre ogni ragazzo si avvicinava con aria abbastanza stanca ad una postazione.

Van sorrise beffardamente e invece Margot era terrorizzata.

Era strano vedere due ragazze tanto uguali fuori quanto diverse dentro.

-Prendete tre coltelli a testa. Qualcuno di voi li sa già lanciare?- nessuno alzò la mano.

Presi i coltelli dalle mani di Margot e con movimenti  rapidi e misurati centrai in pieno la testa della sagoma.

Lei, impallidita, li riprese.

Tutti iniziarono a lanciarli e quasi tutti caddero a terra.

Tranne tre che, con una furia quasi animale, trapassavano la testa dell'uomo da parte a parte.

Quando andarono a riprendere le armi vidi una mano fasciata da della stoffa nera afferrare le armi da dentro l'imbottitura del mirino.

-Quattro, mi... mi potresti aiutare? - chiese la voce melodiosa di Margot.

Sorrisi dolcemente e le posizionai il corpo nella giusta postura.

Il mio petto era schiacciato contro la sua schiena e il mento sui suoi capelli.

-Tira indietro il polso e poi lancia il coltello in avanti... così- con la mano  le presi il polso e feci conficcare il suo coltello nella sagoma.

Lei mi ringraziò e poi continuò a provare.

Van, dall'altra parte fece roteare un coltello in ogni mano. Lanciò il destro che si conficcò dritto nel cuore della vittima, poi lanciò il sinistro che ruotò appena e si conficcò a sua volta con la lama contro quella del coltello precedentemente scagliato e così fece col terzo.

La precisione era impressionante. In che fazione sarebbe stata destinata a vivere?

Ripresero i coltelli.

Mi avvicinai all'orecchio della ragazza.

-Che risultato hai ottenuto al test?- chiesi mentre lei buttava l'arma nella direzione stabilita.

-Inconcludente- un'altro.

-Quali erano le opzioni?-

-Pacifica, erudita- l'ultimo coltello vibrava nell'aria -e candida, abnegante- si cinficcò nel materasso -e intrepida-

Era rimasta immobile.

Non apparteneva a niente. Potevo capirla.

Le diedi una pacca sulla spalla.

-Continua così- le sussurrai.

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Sentii bussare alla porta della mia stanza.

Era notte fonda, ma non sarei comunque riuscito a dormire.

Andai ad aprire.

Van, con gli occhi rossi, i capelli scarmigliati e una mano insanguinata era di fronte ad essa.

-Posso stare qui sta notte? - singhiozzò.

Si cinficcò un'unghia nella carne del braccio.

Non voleva farsi vedere piangere.

La lasciai entrare.

Si sedette contro il muro con le mani attorno alle ginocchia a loro volta contro al petto.

-Sei riuscita a dimenticarla?- ruppe il silenzio mentre mi muovevo sul letto.

Sospirai.

Come faceva a sapere tutto?

-No- risposi secco.

Mi mossi verso di lei e le presi la mano ferita.

Un taglio abbastanza profondo le si allungava da parte a parte del palmo.

-Non riesco a non pensare che sarei dovuta morire io al suo posto, che non avrei dovuto pensare alla mia patetica vita- singhiozzò mentre prendevo una cassetta del pronto soccorso da sotto il letto.

Di chi parlava? Chi la rendeva così fragile? Perché era così?

-Van, non è colpa tua-

Una lacrima le rigò il volto.

-Voglio morire Quattro. Voglio terminare sta merda di esistenza. Ma non posso, senza di me non so cosa ne sarebbe di Mar...- si morse il labbro mentre il disinfettante le bruciava sulla pelle.

-Sono patetica....-

Si fidava di me. Sapeva che anch'io provavo le stesse cose.

Le bendai la mano.

-Sei forte per quanto ho potuto constatare- ero seduto di fronte a lei.

Mi studiò per un secondo. Tutto l'astio, la cattiveria e la diffidenza dei suoi occhi erano scomparsi.

Due occhi da bimba ferita e abbandonata erano apparsi.

-Posso.... Posso abbracciarti?- singhiozzò.

Le avvolsi le braccia intorno al busto.

Lei appoggiò la fronte contro il mio petto. Piangeva silenziosamente.

Sentii la punta del mio cuore risaldarsi e un pò di sollievo invadermi.

Era strano abbracciare una ragazza che non fosse Tris. Ma lei, coi suoi problemi e la sua facciata, era identica a me. Era come specchiarmi allo specchio coi suoi occhi.

Passarono dei lunghi minuti. La mia schiena contro al muro, e lei sempre avvolta a me addormentata.

La presi a mo'di sposa e la adagiai sul mio letto e le tirai la coperta sul corpo. Mi sdraiai sul pavimento e dopo poco mi addormentai.

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