Con la coda dell'occhio Bradley vide apparire e scomparire la scritta St. John Hospital mentre risaliva la tortuosa strada della collina. Più si avvicinava alla meta, più il suo cuore accelerava i battiti. Si accorse di avere i palmi sudati e stinse più forte il volante, non volendo che gli scivolassero le mani mentre lottava contro l'angoscia. Per il primo giorno aveva considerato l'idea di chiamare un taxi, ma poi aveva deciso che, se avesse trovato il coraggio di guidare, si sarebbe sentito più fiducioso. Per prepararsi nel modo migliore, il giorno prima aveva provato con sua moglie Irina. Doveva conoscere la strada come le sue tasche ed essere sicuro di non correre rischi. Con Irina si era sentito coraggioso, ma quel giorno viaggiava solo.
Dopo un'ultima curva poté lasciare la ripida strada per entrare nel parcheggio del St. Jhon Hospital. L'insegna incombeva nuovamente su di lui e l'immacolata vernice bianca contrastava con il colore bruciato della collina e il verde dei radi cespugli. Infilò la carta magnetica nella fessura e aspettò nervosamente che il cancello con le inferriate d'acciaio si aprisse. Il parcheggio non era soltanto ben recintato e vividamente illuminato, ma anche dotato di numerose telecamere. Sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Una volta dentro, chiuse gli occhi e immaginò di varcare fiduciosamente la porta d'ingresso e di presentarsi ai suoi nuovi colleghi, dopodiché respirò profondamente e aprì la portiera. Mentre scendeva al sole mattutino e si dirigeva silenziosamente alla clinica, accompagnato da una leggera brezza invernale, conversò silenziosamente con se stesso per farsi coraggio. Quando girò l'angolo rivolse la propria attenzione all'edificio. Una scintillante parete in gran parte vetrata dava sullo stupefacente panorama, mentre un viale semicircolare contornava un vasto cortile orlato da piante e siepi perfettamente scolpite.
Sulla facciata l'insegna dalle lettere d'argento risaltava sul fondo bianco. Bradley pensò che fosse superflua: chiunque arrivasse là sapeva perfettamente dove fosse. Nessuno arrivava alla clinica senza un progetto o un appuntamento.
Mentre si avvicinava all'ingresso, vide la propria immagine riflessa sulla facciata di cristallo e si lisciò nervosamente il camice bianco.
<< Puoi farcela >> si ricordò con fermezza << Sei un medico eccellente addetto al reparto di massima sicurezza >>. Non era obbligato a inserirsi, doveva soltanto fare un buon lavoro.
Al suo ingresso fu accolto da un vasto atrio ornato di sculture e quadri. Si diresse verso il banco, una lunga lastra di marmo sovrastata da due lampadari e alla cui estremità troneggiava una composizione floreale. Niente indicava che si trattasse della reception di una clinica, perfino la donna seduta dietro la scrivania sembrava appartenere a un lussuoso albergo.
<< Benvenuto al St. Jhon Hospital. Come posso aiutarla? >>.
<< Sono il nuovo membro dello staff addetto alla massima sicurezza >>.
<< Oh, lei deve essere il signor Cooper! Io sono Alice, molto piacere>> i due si strinsero la mano << Mi segua signor Cooper, prego, da questa parte >>. Dopo essere sceso giù per una scala a chiocciola, l'uomo si identificò, consegnò il telefono e appese nell'armadietto a lui assegnato la carta magnetica del cancello, in attesa che la segretaria aprisse la prima porta. Entrarono nel passaggio e aspettarono che la porta si richiudesse per poi avvicinarsi a quella successiva, che a un segnale sonoro si aprì. Bradley si voltò e fece un saluto con la mano ad Alice prima di proseguire lungo il corridoio verso la stanza del personale dell'area di isolamento. Del suo paziente, il giovane medico non sapeva molto di più oltre al fatto che avesse ricevuto la diagnosi di << Schizofrenia aspecifica. Pensiero caotico. Stati psicotici acuti e ricorrenti con tratti di elevata violenza >> .
<< La persona rinchiusa qua dentro non deve mai rimanere sola con qualcuno del personale >> disse il primario una volta che il nuovo medico gli si presentò davanti << Non può mai incontrare altri pazienti, né ricevere visite e non può mai uscire nelle aree di svago, nemmeno...>>.
<< Mai? >> lo interruppe Bradley
<< Ma non è permesso rinchiudere...>>.
<< No, infatti non lo è >> tagliò corto l'altro. Stava fumando e intanto scorreva distrattamente un articolo sul divario retributivo fra uomini e donne.
<< Ma cos'ha fatto? >>.
<< Solo piacevolezze >> rispose il primario cominciando ad avviarsi verso il corridoio << Le radiazioni di Chernobyl devono avergli fuso il cervello >>.
A quell'affermazione il nuovo medico spalancò gli occhi. Anche lui era un superstite. Si ricompose e cercò di mantenere la calma, affrettando il passo.
<< È un ragazzo tranquillo. Non si agita e non alza la voce. La nostra regola principale è di non entrare mai nella sua cella. Ma Leif, che era di turno stanotte, ha notato che è riuscito a fabbricarsi un coltello. Lo tiene nascosto sotto il materasso e ovviamente dobbiamo confiscarglielo >>.
<< E come facciamo? >> si informò Bradley.
<< Infrangiamo le regole >>.
<< Entriamo nella cella? >>.
<< Tu entri e gli chiedi gentilmente di darti il coltello >>.
<< Io dovrei entrare...? >>.
Roland scoppiò in una fragorosa risata. Bradley si era ricordato il suo nome soltanto adesso.
<< Faremo finta di somministrare al paziente la solita iniezione di Risperdal, dopodiché gli inietteremo invece un'overdose di Mirtazapina >>.
<< Devo spaventarmi? >>.
<< No, ma spero che sarai cauto e prudente >>.
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Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
FanficUcraina, 1990. Sono passati quattro anni da quando il mondo assistette attonito al più grande disastro nucleare della storia, quello di Chernobyl. Le persone che accorsero ad ammirare l'incendio che s'innalzava con fiamme multicolori e luci arcobale...