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Jamie'spoint of view

Non è educato origliare ne tanto meno dubitare dei propri amici o di tua moglie, ma quel giorno, quando la porta era restata lasciata aperta ed ero entrato senza farmi sentire, adagiai l'orecchio al cartongesso e prestai attenzione a ciò che il mio migliore amico stava dicendo a mia moglie. Con destrezza mi affrettai ad uscire nuovamente simulando il mio arrivo. Ero attonito, non potevo credere di essere ormai lo zimbello di tutti, Michael mi nascondeva qualcosa. "Non dirlo a Jamie, voglio essere io a dirglielo" queste parole mi rimbombarono nella testa quasi mi scoppiava dalle tante domande. Anche mia moglie ormai mi mentiva, d'altronde però insieme mentivamo su qualcosa di molto più importante. Dovevo fare chiarezza, volevo a tutti costi far sapere a mia sorella che stavo indagando che stavolta non avrei chiuso un occhio, Mia era così imprevedibile, un po bambina e soprattutto testarda, ed ultimamente il rapporto che aveva con Michael iniziava a infastidirmi. In qualche modo, dovevo metterla in guardia.



Michael's point of view

Ero nel mio ufficio, pensieroso maldestro e un po' distratto quel giorno. Sfinito lasciai cadere il documento che stavo leggendo, tolsi via i miei occhiali da vista e mi strofinai il volto stressato con le mani. Feci un giro sulla mia sedia a girevole, osservando il maestoso parnorama di Seattle dietro le mie spalle. Erano le quattro del pomeriggio e onestamente col bel tempo che c'era di fuori non potevo permettermi di restare li chiuso con l'aria condizonata. Decisi di uscire, afferrai la giacca la mia borsa da lavoro e presi l'ascensore premendo il tasto "zero". Quando arrivai nell'atrio salutai i vari passanti e colleghi della fondazione, quel mondo fatto di completi scuri e cravatte strette alla gola talvolta mi stancava, mi soffocava. Uscì di lì dalla porta scorrevole, respirando finalmente aria naturale decisi di passeggiare un po' arrivando fino al parco lì vicino nel quale poi mi sarei seduto su una comoda panchina ad osservare gli alberi e udire il suono degli uccellini. Volevo rilassarmi, me lo meritavo dopotutto. Dopo un'ora fui su quella panchina con fra le mani  un buon caffè americano d'asporto. Tenevo la testa rilassata sulla spalliera di ferro verde e accavallai le gambe. Poi dopo qualche istante, udì ridacchiare.

«Ehi Michael, che ci fai qui?» quella voce non m'era del tutto nuova, sollevai il capo poi raggiunsi con uno sguardo corrucciato, la voce del destinatario.

«Karen, be' farei la stessa domanda a te» ridacchiai anch'io.

«Io sono in giro, faccio le ultime compere per la partenza» spiegò, mettendo le braccia conserte.

«Perchè dove vai ?»

«Oh Mia non te la detto? Parto per un lavoro che mi ha trovato mio padre a New York.»

«Sul serio? Be complimenti allora, di che si tratta?»

«Mio padre è un medico, con le sue conoscenze è riuscito a farmi diventare prima assistente da   Bloomingdale's» rispose fiera di se.

«Ma è fantastico, complimenti anch'io ho molte conoscenze lì ci lavora un mio caro amico per qualsiasi cosa non esitare a chiedere» sorrise lei, in maniera rassicurante.

«Grazie ,sei troppo gentile» un ultimo scambio di sorrisi e pensai che la conversazione fosse terminata invece successe qualcosa di inaspettato.

«Posso?» chiese la ragazza indicando il posto vuoto accanto a me, ed io gli feci un cenno positivo.

Si sedette accanto a me, imitando i miei stessi gesti. Adagiò anche lei il capo alla spalliera di ferro.

«E' insolito trovare un ricco e famoso uomo qui nel parco mentre osserva gli alberi» sghignazzò, forse fece sorridere anche me.

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