Capitolo 13

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Il ristorante in cui mi aveva portato Jack era molto carino, i tavoli erano disposti su un terrazzo incorniciato da piante rampicanti e lucine bianche. 
Non era un posto troppo elegante ma aveva un'aria fiabesca e romantica; come sempre Jack faceva la scelta migliore tra tutte le alternative. 
Mi sedetti al tavolo e iniziai a guardarmi intorno, temevo  l'apparizione di Miller da un momento all'altro. 
-Cerchi qualcosa? - mi interrogò Jack sedendosi di fronte a me. 
-No, scusa, stavo ammirando il posto. Ottima scelta.- risposi rapidamente. "Alla faccia della sincerità" mi ammonì una voce interiore. 
Effettivamente non era molto coerente con ciò che mi ero ripromessa, ma il passato doveva restare lontano dal presente e Miller sarebbe dovuto star lontano da Jack. 
Ordinammo da mangiare senza neanche leggere il menù, entrambi avevamo gusti semplici e una fame che sembravano quattro. 
-Raccontami qualcosa di nuovo Sophia..- ruppe il silenzio l'uomo davanti a me. 
-Forse tu sai abbastanza su di me. Racconta tu.-
-Fammi una domanda. Qualsiasi cosa. - 
-Perché è finita con la tua compagna? - la domanda mi uscì senza rifletterci neanche. 
Emanavo indelicatezza da tutti i pori. 
-Domande semplici, eh?- si iniziò a muovere sulla sedia palesemente a disagio. 
Arrossii io per il suo imbarazzo, avrei dovuto tapparmi la bocca invece di fare la Sherlock Holmes della situazione. 
-Io e Kristen siamo stati insieme circa quattro anni, era una giovane infermiera che aveva studiato molto per raggiungere il suo sogno. Quando ci siamo fidanzati eravamo entrambi appena iniziato la nostra carriera ed eravamo pieni di energia, avevamo iniziato a progettare il nostro futuro insieme molto presto. Forse troppo presto.  Un po' di tempo fa lei ha ricevuto una proposta di lavoro molto prestigiosa e l'idea di avere una famiglia non le piaceva più...- raccontò lui amareggiato -..quando mi confessasti i tuoi sentimenti mi sembrò una cosa estremamente immatura, un amore di quelli che si accendono e si spengono con niente..- 
Ascoltavo attentamente le sue parole e per la prima volta scoprii cosa passava per la sua testa.
-A quanto pare le emozioni immature e gli impulsi erano più sincere e vere di qualsiasi rapporto maturo.- concluse lui sorridendomi in fine. 
Prima che potessi proferire parola arrivarono i nostri piatti, il filetto di baccalà era presentato benissimo nei piatti ed aveva un odore invitante. Quel bel vedere mi fece dimenticare tutto quello che volevo dire, mi misi subito in bocca una forchettata e la assaporai lentamente. Era perfettamente equilibrato il gusto. 
-Le storie iniziano e finiscono, è difficile prevedere quale sarà la scelta più adatta a noi e quale sarà la più duratura. - affermai guardandolo negli occhi. Forse quelle parole erano più riferite a me stessa piuttosto che a lui, ma d'altronde ero sempre stata brava a predicare bene e a fare tutt'altro nella mia vita. 
-Hai ragione...- lo sentii dire mentre continuavo a mangiare -Sei  più matura del tuo ex-psicoanalista.- 
-Questa affermazione potrebbe essere utilizzata contro di te, sai? - scherzai io per alleggerire la situazione che ormai si era fatta pesante.
-Oh.. Posso ritirare quello che ho detto? - 
-Assolutamente no!- 
Scoppiammo a ridere all'unisono e continuammo in tranquillità il pranzo. Smisi di fare domande scomode per lasciar spazio ad argomenti più divertenti, per esempio come Jack si era riuscito a fare spazio tra i suoi compagni universitari per raggiungere i suoi obiettivi. 
A quanto mi raccontò in quel ristorante, Jack Richards non era sempre stato un uomo così pacato, tranquillo e buono come era apparso a me negli ultimi anni; durante la fine degli anni universitari e i periodi di tirocinio fece l'impossibile per essere tra le prime scelte dei grandi professionisti o delle istituzioni sanitarie. 
-Una volta ci fu un bando, per un breve stage a Londra e c'erano solo 5 posti. Capitai sesto in classifica, ma casualmente il quinto ragazzo si fece beccare dal rettore mentre si faceva sua figlia nel suo ufficio.- mi raccontò lui facendomi rimanere senza parole.
-Casualmente?- chiesi io ironicamente
-"Pronto, sono la professoressa Mcguire. Sento dei rumori molto strani nel suo ufficio professore." - Jack si mise la mano al naso e simulò una voce stridula con un accento fastidioso, tipico di una vecchia docente acida e ficcanaso. 
Mi stava per uscire l'acqua dal naso a forza di ridere per quella imitazione da premio Oscar. 

Quando tornammo al campus i racconti di Jack avevano rimosso dalla mia mente i pensieri negativi. Mentre parcheggiava il suo sorriso si spense e istintivamente mi guardai attorno spaventata alla ricerca di un certo professore di filosofia infuriato. 
-Che c'è? - gli chiesi sperando che il motivo della sua espressione seria era un pensiero remoto e lontano dal presente.
-C'è una cosa di cui non abbiamo parlato Sophia..- iniziò voltandosi verso di me -..io non sono un tuo docente e non sono neanche più il tuo psicoanalista. Ciò nonostante tu sai bene che lavorando qui devo essere molto professionale eccetera, eccetera..- 
-Lo so già Jack. Manterrò le distanze.- lo interruppi e interiormente mi sentii sollevata.
-Adesso non esageriamo, non mi sono traferito fino a qui per stare distante da te. - scherzò lui ridendo e facendo ridere anche me. 
Scesi dall'auto prima che qualcun altro potesse vederci in quella situazione in cui vi era più complicità di quanto ci era permesso. 
Mi diressi verso la mia camera con fin troppa rapidità, sembrava quasi stessi scappando da un potenziale stupratore. O forse inconsciamente stavo veramente scappando, non da uno stupratore ma dalla possibilità di incontrare Miller da qualche parte. 
Mi ricordai di non avere lo zainetto e perciò neanche le chiavi, così bussai nella speranza che Kath fosse in stanza e non da qualche parte con il suo biondino di ghiaccio. 
Con mia immensa fortuna Kath mi aprì la porta anche se molto poco vestita, anzi aveva indosso solo un accappatoio bianco e un asciugamano in testa.
-Disturbo? - chiesi prima di entrare.
-Ma no! Sono appena uscita dalla doccia e ho aperto prima di pensare a come sono conciata.- affermò lei tirando al petto l'accappatoio e tirandomi dentro la stanza per poi sbattere la porta con un calcio. 
Mi gettai sul letto mentre Kath si asciugava i capelli con il phon in bagno. Chiusi gli occhi e mi rilassai prima di ripartire per la lezione pomeridiana. Volevo pensare bene a cosa era appena successo, alla serenità che Jack mi aveva trasmesso e quanto questa cosa mi facesse bene; ma mi addormentai profondamente dopo qualche minuto. 
-Sophia...- una voce maschile mi chiamava e nei miei sogni ero sola, qualcosa non andava. Sbarrai gli occhi ricordandomi che mi ero addormentata. 
Brett sul letto della mia amica mi fissava divertito a braccia conserte, era così vanitoso quel ragazzo che non riusciva ad essere naturale in qualsiasi posizione si mettesse, era palese che volesse solo mettere in mostra i suoi muscoli pompati. 
-Che cazzo ci fai te qua...- bofonchiai stropicciandomi gli occhi e alzandomi dal letto.
Dalla tasca posteriore dei jeans tirai fuori il cellulare per controllare l'ora. Quando vidi che mancavano 5 minuti alla mia lezione saltai giù dal letto, raccattai una penna e un block-notes e me ne andai via più veloce di un razzo. 
La lezione di neuroscienze era già iniziata purtroppo ma mi riuscii ad intrufolare come un ninja senza fare il minimo rumore e senza essere notata dal professore, che tra l'altro era uno tra i più severi che avessi mai conosciuto. 
Il professore Bovet era uno tra i più importanti medici e biologici del continente oltre che uno studioso di neuroscienze e psicobiologia, ha lavorato per anni alla Center for Neurobiology of Learning and Memory dell'Università della California, Policlinico e Clinica neurologica dell'Università Ludwig-Maximilians Al Parkinson a Monaco e in molti altri centri neurologici. 
Nonostante le materie scientifiche non erano il mio punto forte, con le sue spiegazioni mi era difficile non capire, riusciva a rendere semplice anche il circuito cerebrale più complesso. 
Anche se ancora assonnata riuscii a mantenere l'attenzione per un'ora intera e prima dell'inizio della seconda mi andai a prendere un caffè al distributore. 
Misi i soldi nel distributore ma la il caffè non arrivava e neanche i soldi non mi tornarono indietro. Non ci volevo credere, erano gli ultimi soldi che avevo e il portafoglio era nello zainetto lasciato nella stanza di Jack. 
Diedi un calcio alla macchinetta istintivamente, come se la cose potesse agevolare l'arrivo della mia dose di caffeina. 
Mentre ero ancora di fronte alla macchinetta, un braccio fasciato da una camicia bianca mi passo davanti al viso per mettere altri soldi nel distributore maledetto. 
-E' rotta..- mi volta verso il signore che stava per commettere il mio stesso errore. 
Christian Miller era di fronte a me ed io rimasi smisi di respirare per qualche secondo, per poi ricominciare con un ritmo più rapido. 
Lui neanche mi guardò, sembrava quasi non ci fosse nessuno davanti a sé, era serio e teso, la cosa mi metteva ancora più inquietudine. Feci qualche passo indietro per andarmene prima che potessi subire le conseguenze della sua ira. Ma prima di riuscire ad andarmene la sua mano strinse forte la mia spalla per bloccarmi e quasi mi fece male. Mi porse il bicchiere di carta con il caffè e prima che potessi rifiutarlo oppure ringraziarlo mi voltò le spalle e se ne andò.
La situazione era stata così fredda e carica di tensione che mi lasciò spiazzata, il contrasto tra il suo gesto gentile e il suo modo di fare glaciale mi disorientava più di quanto volessi. 
Era arrabbiato con me sicuramente. O forse no. Ma poi perché arrabbiarsi? Per Jack? 
Mi volevo maledire per il modo in cui ero tanto preoccupata per lui e per la sua rabbia, non ero riuscita neanche a stare ventiquattro ore a stare senza agitarmi e pensare a lui.

The professor 2 - Rising from the ashesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora