3. Le dure convivenze.

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Sempre Venerdì.

Dico a Massimo di tenermi alta la pila mentre io cerco di fare mente locale e di ricordarmi di tutti i passaggi. In realtà non l'ho mai fatto, ma Viola tantissime volte. E io altrettante volte l'ho studiata attentamente. Faccio passare lentamente la carta nella fessura, ma quando arrivo alla serratura mi blocco. Ok, fa niente, si riprova. Anche la seconda volta succede lo stesso.

Sento l'agitazione e il nervosismo salirmi lungo la schiena. Anche le cinque volte successive non succede niente. Inizio a sudare freddo.

«Sei sicura di farcela?» domanda lui cercando di soffocare una risata. Merdaccia. Ci riprovo. Questa volta mi sembra diverso; quando arrivo alla serratura ho l'impressione che qualcosa stia succedendo. Sono già pronta con il mio sorriso vittorioso sul viso. Sento un tac ma non è quello sperato.

Massimo scoppia in una risata che gli lascia poca aria nei polmoni. Il sorriso mi si è gelato sulle labbra. Guardo tristemente la carta spezzata nella mia mano. Intanto lui è in deficit respiratorio per le risate.

«Il mago... haha... del crimine! Oh cielo, Mì, sei veramente forte!» mi appoggia una mano sulla spalla, ma io la scrollo infastidita. Con una scossa di stizza, avanzo a lunghe falcate verso casa mia e chiudo la porta, lasciandolo fuori sul pianerottolo.

«Dai Mia, stavo scherzando...» sento la sua voce piano, da oltre la porta.

«Ora rimani lì per punizione» annuncio e lo sento ridere.

«Starai scherzando spero. C'è il gelo polare qui fuori»

«No sono serissima»

«Cazzo Mia, qui ci gelo. Apri, dai per favore» sta battendo al portone, ma faccio finta di non sentirlo. Facciamo sbollire la stizza prima. Mi guardo un po' attorno e decido che per qualche minuto mi metto a sistemare i cartolari per il matrimonio.

«Miaa, aiutami per favore. Io sono il tuo Jack, non mi lasciar morire di ipotermia qui fuori. Aiuto..» mi fermo un secondo come se avesse detto la parola magica. Mi avvicino al portone e poggio la mano sulla maniglia. Aspetto qualche secondo prima di tirarla giù. Massimo è seduto di fronte alla porta, la testa appoggiata alla colonnina di legno del corrimano.

«Mi odi ancora così tanto?» mi chiede piano, ma io non rispondo.

«Entra vai» rispondo gelida. Lo vedo annuire lentamente ed alzarsi.

Per le seguenti due ore non dice molto; si limita a stare seduto sul divano, la coperta sulle spalle e un libro che ha pescato dalla mia libreria tra le mani. E a me tutto sommato va bene così: non cercavo compagnia oggi. Avevo bisogno di una giornata per me, non per fare la badante al mio vicino di casa fastidioso. Ogni tanto gli lancio un'occhiata e lo trovo sempre nella stessa posizione. Intanto io mi sistemo al tavolo in cucina, col computer davanti. Ogni tanto alzo lo sguardo dal mio lavoro e gli lancio degli sguardi. Mi ritrovo ad osservarlo più volte di quanto credessi. Ad osservare quegli zigomi alti, spigolosi, gli occhi affilati, felini, le labbra carnose, i capelli riccioluti rigorosamente tenuti dietro le orecchie.

Mi fermo a pensare alla prima volta che l'ho visto ed era esattamente come adesso. Solo che i ricci erano più corti, le lentiggini sulle guance ancora più marcate. E poi quelle deboli rughette che ora iniziano a spuntare attorno agli occhi non c'erano ancora. Come non c'era ancora quel caratteraccio che si ritrova. Non era così prima. Era simpatico. Era uno con cui si poteva ridere di tutto, era dedito solamente alla sua amatissima letteratura. Ora invece, ho l'impressione che non ci sia neanche più niente che gli interessi.

Improvvisamente, come se sentisse i miei occhi su di lui, si volta e mi guarda. Delle profonde pieghe si formano sulla sua guancia sinistra. Io cerco di distogliere lo sguardo ma lo sento sempre fissarmi. Chiude il libro e viene verso di me.

Per le vie di FirenzeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora