4. Mai dire gol

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Nel caso non l'aveste capito: è sempre Venerdì.

Sono le tre e sono esattamente cinquanta minuti che sto fissando il soffitto. La rabbia è sbollita quarantasette minuti fa, ma il mio orgoglio è grande quanto Firenze, quindi col cavolo che ritorno su. E neanche lui verrà giù a scusarsi viz-à-viz, visto che se il mio orgoglio è come Firenze, il suo è grande come Roma o Milano. Questo passerà alla storia come il giorno allo stesso tempo strano e palloso di sempre.

All'improvviso sento le scale scricchiolare, ma non voglio guardare. Voglio tirarmela ancora un po'. Così arriccio il naso e aggrotto le sopracciglia, mentre le mie braccia si incrociano sul petto. Lo sento piazzarsi davanti a me e prima che possa dire qualcosa inizia a cantare.

«Tu- tu tua

Patatina mia

Non titillare la mia fantastia.

Allora, rucolina mia

La notte è buia

No, non andare via»

Ma che cazz... alzo la testa e lo vedo ballare scimmiottando Michael Jackson.

«Com'è bello il nostro amore,

senti come sale

è bello solo se ci sei tu,

sotto questa luna

dimmi cosa pensi di me»

E allora lì, gutturalmente, di stomaco proprio, mi sale Vanette. Mi alzo in piedi, mi smuovo un po' i capelli e mi trasformo. Prendo in mano la spazzola per capelli e canto

«Che sei una merda

Inequivocabilmente merda,

ma proprio mer..»

Neanche a dirvelo non sono riuscita a finire di cantare per le risa che mi salivano. Anche Massimo sta ridendo di gusto, ha perfino le lacrime agli occhi.

«Olmo era veramente l'unica cosa che potesse alzarmi il morale» riesco ad articolare tra le risa. Lui si limita ad annuire, pulendosi gli occhi dai lacrimoni che ricoprivano le sue guance.

«Come ti è venuto in mente...» la domanda rimane sospesa non appena riesco a metterlo a fuoco realmente.

«Dove l'hai trovata la camicia?» il mio tono è totalmente cambiato. Ci sono delle sfumature rabbiose, incredibile come sia riuscita a cambiare completamente umore nel giro di mezzo minuto (neanche). Lo vedo zittirsi e le sue guance colorarsi di un lieve rosso.

«L'ho trovata in uno scatolone lì nello studio.. c'erano un sacco di cose, ehm, vecchie» ammette, con lo sguardo sfuggente. Mi sento sprofondare. Non doveva trovarlo, era l'unica cosa che non doveva trovare; che imbecille che sono. Come posso essermi scordata di nasconderlo?

«Perché hai tenuto tutta questa roba?»

«La vera domanda Massi che devi fare è: perché mi sono messo a rufolare in roba non mia?»

«Perché quando te ne sei andata, sbattendo tutte le porte che trovavi, mi sono buttato sulla poltrona e una scritta su uno scatolone ha attirato la mia attenzione "Olmo e Vanette". Non è molto usuale trovarlo. È vero, ho curiosato nelle tue cose, mi dispiace, avrei dovuto mettere le mani a posto. Ma non credevo che tu te ne ricordassi e soprattutto che tu avessi tenuto...» si tocca la camicia e sorride, piano, cercando di non farsi vedere. «questa».

A2. Colpita e affondata.

Mi sento esattamente come un sommergibile in battaglia navale. Boccheggio, senza voce. Non so veramente cosa dire. Non ho una vera risposta alle sue domande, l'ho fatto e basta.

Per le vie di FirenzeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora