20- ANCORA TU

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(Dopo)

Asciugo le nocche e avvolgo la mano in svariati strati di carta per farla smettere di sanguinare poi mi dirigo di nuovo verso camera mia.

Infilo un paio di pantaloncini neri e scendo le scale, cerco di non fare rumore per evitare che mia madre mi senta uscire di casa e indosso le scarpe bianche buttate disordinatamente all'entrata.

Mi guardo attorno per qualche secondo per assicurarmi che non mi stia spiando, è tranquilla in cucina come se non fosse accaduto nulla, non le importa neanche scusarsi.

Prendo il telefono sopra la mensola e chiudo la porta alle mie spalle.

Non so dove andare ma sicuramente qualunque posto sarà meglio di quell'inferno che mia mamma chiama casa.

Saranno circa due settimane che non vedo più la strada, non esco mai e inizio a pensare che sarebbe stato meglio chiudermi tra le quattro mura di camera mia.

Faccio un respiro profondo e scelgo di affrontare quell'afosa giornata di luglio, avvio il contapassi sul telefono e inizio a correre.

Corro, corro e corro cercando di non stancarmi troppo in fretta, devo testare il mio limite e so che rimarrò soddisfatta delle mie prestazioni fisiche esattamente come lo ero un anno fa.

Dopo 100 metri inizio ad affaticarmi, inizio a vedere appannato ma continuo a correre, non posso essere già stanca.

Dopo poco mi fermo.

Mi manca l'aria e non riesco a respirare.

Mi siedo su una panchina sistemata a bordo strada e riprendo fiato con calma.

Sei fuori forma Selita.

Inizio anche a parlare di me stessa in terza persona ora?

Mi rialzo in piedi e mi avvio verso il bar alla mie spalle, sudata, stanca e demoralizzata.

"Un bicchiere d'acqua per favore."

Chiedo alla barista bionda che sta dietro al bancone.

Attendo qualche secondo e una volta avuto il mio bicchiere pago e mi avvio verso uno dei tavolini in legno che danno alla strada.

So che non sarebbe opportuno bere dell'acqua gelida tutto su un colpo dopo aver fatto uno sforzo fisico tanto grande ma non resisto e la butto giù tutta.

"Tua madre non ti ha ancora avvertita sul fatto che non va bene bere l'acqua gelida come fosse da temperatura ambiente?"

Mi giro per capire chi ha parlato.

Mio dio, ancora lui?!

Sono scappata di casa per non sapere più niente di mia madre e puntualmente mi si presenta davanti il mio psicologo, lì, al bar dove sono andata per scappare da tutto.

"E a te non hanno insegnato di non arrivare alle spalle delle persone scocciandole?"

Domando ironicamente con uno sguardo di ghiaccio.

"Stavo scherzando, tranquilla."

Dice lui sorridendomi.

Mi parte un pugno allo stomaco.

È qui che realizzo il fatto che nessuno mi ha mai chiesto di calmarmi nei miei momenti di rabbia, nei miei momenti di rifiuto totale ad approcciare col mondo.

Mi hanno sempre giudicata, e basta.

"Ok."

Gli rispondo.

È l'unica parola che mi esce.

"Posso?"

Mi chiede accennando con la testa alla sedia di fronte a me.

Esito prima di rispondergli ma alla fine gli concedo di sedersi al tavolo con me.

"Non siamo partiti esattamente con il piede giusto, che dici?"

Mi chiede con uno sguardo mortificato.

"Non esattamente."

Rispondo guardandolo negli occhi.

Due occhi verdi smeraldo ipnotizzanti che non avevo notato prima.

Solo una cosa mi paralizza più di quel colore, bensì lo sguardo.

Uno sguardo confidenziale, uno sguardo che ti comprende.

Uno sguardo che mi ricorda tanto il mio ex ragazzo.

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