29- DOMANI

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(Dopo)

Sto piangendo?

Tento di togliere le mani dal suo petto ma lui le pinza più forte e le pressa su di lui.

"Non ti devi vergognare."

Mi divincolo, non mi può vedere in queste condizioni, nessuno deve avere occasione di giudicare la mia emotività.

"Mollami!"

La mia voce diventa sottile, sento la voglia di scappare e non voglio lasciare che mia madre senta delle grida così stridule provenire dalla mia camera.

Mattia con il suo tono pacato tenta di guardarmi negli occhi ma io mi divincolo a destra e sinistra per impedirgli di incrociare il mio sguardo.

"Sei tu che non mi molli."

La sua presa si è allentata e senza accorgermene  lo sto toccando "di mia volontà".

Alzo gli occhi, sento le lacrime scendere sul viso e lui se ne sta lì, a guardarmi piangere come mai nessuno ha fatto.

"Quella cosa, quella cosa che tu chiami rabbia é dolore."

Faccio un passo indietro, mi sento violata, violata nella mia sensibilità, violata nella conoscenza di me stessa.

Allunga il braccio verso di me e apre il palmo.

"Datti una sistemata, usciamo."

Si gira di spalle ed esce da camera mia chiudendosi la porta alle spalle.

Se mi avesse parlato così dieci minuti prima lo avrei sovrastato con le mie urla, insomma, chi è lui per darmi ordini?

Passo il dorso della mano non ferita sulle guance, sono bagnate fradice, come se mi fossi appena lavata il viso.

Non avrei ragione per farlo, nessuno mi costringe a farlo, ma in questo momento mi sento solo di afferrare un paio di pantaloni bianchi e una maglietta a mezza manica.

Tento di guardarmi allo specchio e vedendolo distrutto mi rimbombano le sue parole in testa:

"Non è rabbia, è dolore."

Sono entrata in un loop infinito, ormai riesco ad udire solo questo.

Per un'attimo ho la tentazione di chiudergli la porta in faccia, di lasciarlo lì impalato come un'idiota.

Apro la porta, Mattia ha la mani in tasca e sta facendo avanti e indietro lungo il corridoio.

Mi guarda con un occhio compiaciuto e mi sorride.

"Grazie."

Non capisco a cosa si riferisce ma suppongo che lo abbia detto dal momento che ho eseguito la sua richiesta di uscire, richiesta che in realtà sembrava più un ordine. 

Scendiamo le scale e passiamo di fianco a mia madre che è in cucina a fumarsi una sigaretta seduta a capotavola.

Non si gira neanche, è lì a fissare il vuoto.

"Glie la riporto domani Signora, buona serata e stia tranquilla, sua figlia è in buone mani."

Cosa?!

Mi spinge delicatamente fuori dalla porta e la chiude alle sue spalle.

"Cosa significa domani?"

Gli chiedo sbigottita.

"Ti fidi di me?"

Domanda.

"No!"

Rispondo di scatto non pensando alla risposta.

Entrambi sappiamo che ho detto una cazzata, é la prima persona che riesce a toccarmi da un anno a questa parte.

"Ti muovi?"

Mi domanda tirando fuori le chiavi della macchina, è una grossa jeep nera parcheggiata di fronte al vialetto di casa mia.

Lo seguo con una strana sensazione nel petto, un vuoto.

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