32- NON TI CONOSCO

76 3 0
                                    

(Dopo)

"Perché mi hai portata qui?"

Gli domando d'istinto.

Lui abbassa lo sguardo e posa le mani a palmo aperto sull'enorme cuscino, poi si morde il labbro e fissa il cielo.

"Sai perché insisto tanto con te?"

Mi chiede.

"Non puoi rispondere ad una domanda con un'altra domanda, parleremo anche di questo, ma dopo."

"Ok ahah."

Cerca di dissuadermi con quella sua risata ma capisco chiaramente che è forzata.

"Ti ho portata qui perché è uno dei pochi posti dove riesco a staccare da tutti. Quando qualcosa mi fa stare male, quando le mie paure prendono il sopravvento qui respiro, recupero."

Le sue parole mi colpiscono, mi rispecchiano e pretendo di saperne di più. 

"Recuperi cosa?"

Si mette il cuscino dietro la schiena, mi rendo conto che lo sta torturando.

Riesco a percepire qualcosa di strano nell'aria, qualcosa che non pensavo rappresentasse un suo aspetto caratteriale, tensione.

"Recupero la voglia di ricominciare a stare bene, la voglia di sorridere come fosse l'ultimo giorno in cui posso farlo."

Sono accigliata, lo sto ascoltando e stranamente gradisco anche la sua presenza.

"Perchè hai scelto di studiare psicologogia?"

Gli chiedo senza badare al fatto che adesso tocchi a me rispondere alla sua domanda.

"Per curare un tuo mostro interiore devi sforzarti di conoscerlo."

Ha ragione, e il fatto che io lo stia ammettendo a me stessa ha fatto sì che la mia mente si impalli, non riesco più a spiaccicare parola. 

Lo psicologo che fino a poco prima respingevo mi ha ammutolita con un'amara verità.

"È quello che devi fare tu, conoscerti."

La mia espressione si incupisce, ha iniziato a parlare da psicologo e a me non interessano lezioni di vita da uno che a mala pena conosco.

"Non guardarmi così, ti sto parlando da amico, so che non vuoi saperne nulla di gente che ti inculca in testa pensieri che non sono i tuoi. Per quanto strano ti possa sembrare so cosa vuol dire sfogare il dolore in rabbia."

Rispondo reagendo d'istinto:

"No, tu non puoi saperlo, insomma guardati, hai l'aria di uno che non sappia neppure cosa vuol dire incazzarsi."

Giro la testa dall'altra parte, mi innervosisce che qualcuno mi dica "ti capisco" se di me non capisco nulla neppure io.

"Mio padre era un militare colmo d'odio verso chiunque, specialmente dopo tutti i tradimenti di mia madre, so cos'è la rabbia."

D'improvviso mi assale il senso di colpa per aver sminuito i suoi vissuti che diciamocelo chiaro e tondo, non conosco.

Butto l'occhio sulla sua mano che infila nella tasca sinistra dei jeans ed estrae un pacchetto di sigarette.

"Fumi?"

Gli domando imbarazzata nel tentativo di cambiare discorso.

"Vuoi?"

Chiede posizionandone una sulle labbra.

Tento di prenderla dal pacchetto ma non faccio in tempo perché ritrae il braccio.

Faccio una smorfia interrogativa.

"Guarda che so. Non puoi fumare."

Butta l'occhio sulla cicatrice lungo il collo e io mi sento morire, appassisco dentro ma taccio e non lo lascio vedere.

Lui sembra non accorgersi, per la prima volta, di ciò che sto realmente provando e facendomi l'occhiolino afferma:

"Riparleremo anche di questo, ora godiamoci l'attimo."

Si fuma una sigaretta e andiamo a dormire lasciando il bello di quelle stelle alla notte.

Mi ospita nel suo letto mentre lui si piazza sul divano.

Ho cercato di convincerlo che potevo stare io in salotto ma non ne ha voluto sapere, ha detto che sono sua ospite e devo stare comoda dato che mi ha praticamente costretta a venire qui.

Prima di addormentarmi ho rimuginato su tutto l'accaduto e ho capito che di lui, forse, mi sono fatta un'idea comune, il pensiero negativo che ho degli psicologi alla ricerca esclusiva di soldi.

Ha accennato al fatto che suo padre era una persona violenta, magari domani mi spiegherà meglio qualè il mostro che affliggeva lui o la sua famiglia.

Mi sveglio e guardo l'orologio appeso alla parete sopra ai piedi del letto, sono le 10 di mattina.

Mi infilo la maglietta che avevo tolto la sera prima e mi avvio in cucina.

"Buongiorno."

Mi dice.

È seduto al tavolo con un caffè lungo e un paio di libri aperti davanti.

"Vuoi un caffè?"

Chiede premurosamente.

"No grazie, stai studiando?"

Domando sfacciatamente sedendomi di fronte a lui.

"Ripasso."

Dice facendo spallucce e voltando pagina con l'indice.

"Non avevi detto di aver finito con gli studi?"

Ride.

"Non vado più all'Università, ma non si smette mai di studiare per capire la mente delle persone."

Si alza in piedi e sistema il colletto della camicia bianca che la sera prima aveva appoggiato sul divano.

"Usciamo a fare colazione, un cappuccino e una brioches, ti va?"

Sono sul punto di dirgli di si quando ricordo di non aver portato la borsa e di conseguenza di non avere soldi.

Sembra capire la situazione e avviandosi verso l'uscio per infilarsi un paio di scarpe nere mi rassicura:

"Ovviamente offro io."

REMINISCENCE Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora