Capitolo 12: La Testa nella Cucina

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Luci rosse.

Divise blu e nere, a tratti scarlatte.

Matite e penne ovunque.

Blocchi bianchi.

Persone. Tante persone.

Trasmettitori radio.

Sangue.

Cucina.

Pavimento.

Coltello.

Mamma. Anzi, mamma non biologica.

Akira.

Tutto ciò in cui credevo è stato spazzato via in pochi secondi della mia vita. Pensavo che venire a conoscenza di una realtà sovrannaturale avrebbe giovato alla mia vita, ma non è stato così.

Gli agenti di polizia hanno occupato l'intero appartamento e i vicini guardano dagli spiragli delle loro porte. Tutti parlano, ma non li sento: vedo Adriel agitare le braccia e i poliziotti prendere nota. Tutto è al rallentatore. Esattamente come accade nelle serie tv e nei film.

«Signorina? Può dirci che cosa è successo?» domanda all'improvviso un agente al mio fianco.

Mi volto, ma dalla mia bocca non esce alcun suono. È un uomo scuro di pelle e ha degli occhi verdi come lo smeraldo. Mi lascia una strana sensazione addosso: è come se lo conoscessi. Ogni tanto Adriel gli lancia qualche occhiata, ma...

Mia madre si voltò e si avventò su di me. Mi mise le mani al collo e strinse più che poteva. Il suo sguardo era vacuo e la sua pelle diventava sempre più bianca. Improvvisamente venne scaraventata contro il muro, che da bianco panna divenne una carta da parati con schizzi di sangue rosso, ed esalò il suo ultimo respiro. Adriel le aveva tagliato la gola.

La cosa che più mi sconcerta, però, non è l'atto della mia compagna di classe, nonché amica e vampira, bensì l'aspetto inanime che aveva mia madre poco prima di attaccarmi.

Il suo nome era Martina De Rosa; era una donna altolocata, con un po' di puzza sotto il naso e un portafoglio più grande della sua faccia ovale. Aveva gli occhi neri come la pece e i capelli di un castano tendente al cioccolato. Ed è proprio per questo che non ho mai sospettato di essere stata adottata: le assomigliavo troppo.

Si era sposata nel 2000 con l'avvenente medico Marco Nicchio, conosciuto nove mesi prima durante una cena di gala di un golf club qualunque, e poco dopo il matrimonio nacqui io. In teoria.

Andava tutto bene: sembravamo la famiglia del Mulino Bianco, finché un giorno mio padre, nel 2013, tornò a casa dicendo a mia madre di aver conosciuto un'altra donna che gli dava molto di più e che per questo avrebbe chiesto il divorzio. Le diede un caloroso abbraccio, che durò qualche secondo, e lei pianse. Dopo che mio padre se ne fu andato, mia madre continuò a piangere e con il passare del tempo iniziò a bere sempre di più. Aveva lasciato il lavoro, perché tanto non ne aveva bisogno, e si stanziò nella sua camera da letto, tra qualche schifezza e una serie di birre. Più il tempo passava, più la situazione peggiorava: c'erano giorni in cui non usciva proprio dalla sua stanza e altri in cui lo faceva solo per chiedermi di comprare altre birre. Successivamente, la situazione si inasprì: mia madre divenne violenta.

«Quindi dichiara di essere innocente e che si è trattato solo di difesa personale?» chiede il poliziotto dagli occhi verdi ad Adriel.

«Sì» ribatte la mia amica.

«Dobbiamo confrontare le versioni e finché Demetra Romano non parlerà lei deve venire con noi in commissariato con l'accusa di omicidio colposo» afferma l'uomo in divisa. Prende Adriel per il polso e si volta per metterle le manette, aggiungendo: «Ha il diritto di rimanere in silenzio. Tutto quello che dirà potrà essere usato e sarà usato contro di lei in tribunale. Ha diritto a un avvocato. Se non può permettersene uno, gliene sarà assegnato uno d'ufficio. Ha capito i diritti che le ho appena illustrato?»

Il segreto del CimiteroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora