𝐕

147 15 44
                                    










| 𝗩𝗘𝗥𝗜𝗧𝗔̀ 𝗣𝗢𝗖𝗢 𝗖𝗥𝗘𝗗𝗜𝗕𝗜𝗟𝗜 |

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

| 𝗩𝗘𝗥𝗜𝗧𝗔̀ 𝗣𝗢𝗖𝗢 𝗖𝗥𝗘𝗗𝗜𝗕𝗜𝗟𝗜 |



















𝔇𝔞𝔱𝔢𝔪𝔦 𝔲𝔫𝔞 𝔪𝔞𝔰𝔠𝔥𝔢𝔯𝔞 𝔢 𝔳𝔦 𝔡𝔦𝔯𝔬̀ 𝔩𝔞 𝔳𝔢𝔯𝔦𝔱𝔞̀.











In Italia vivevo in un quartiere di Roma. Era stupenda la mia Roma, tuttavia quando decisi di rubare la libertà alla persona sbagliata, Roma si tinse di rosso: rosso passione, rosso morte, rosso non ti avvicinare.
Tutte le sfumature che il rosso potesse assumere a Roma, quasi due anni fa, durante un'estate calda e affollata, con le stesse paranoie di sempre, con il solito Sebastian si accentuarono sul mio volto mortificato.

Avevo fatto innamorare la donna di un altro, un altro più forte, più mafioso di me. La sua famiglia lo venne a sapere, la città lo venne a sapere, mio padre lo venne a sapere e - il mio stronzo e retrogrado padre - aizzò tutta la sua cruda verità sulla mia persona innocente, anzi, colpevole solo di aver guardato negli occhi una fanciulla dai capelli dorati.
Mi picchiò, inutile star qui a circoscrivere. Mi insultò fino al calar di Morfeo e da quel momento in poi non fu più suo figlio, solo perché una donna di un mafioso s'era infatuato di un sempliciotto come me.

Cazzate. Mi sono solo scopato la donna di un altro e mi venne a cercare. Mio padre sì, mi insultò e mi caccio di casa, ma solo per le cazzate che ho fatto precedentemente, come quella volta che presi a pugni il figlio del panettiere solo perché mi diede del cazzone.
Ero sempre fatto, in quel periodo.
Bevevo dalla mattina alla sera, in quel periodo.
Non avevo vicino Sebastian, in quel periodo.
A mia discolpa, però, quella è stata la scopata più bella di tutta la mia vita.

A Cuba vivo in un palazzo malandato, me lo faccio bastare perché sono pulito da un anno e la mia vita non può far più schifo di così, ma la vita che conducevo prima era ancor più miserabile. E tra la merda italiana e la merda cubana scelgo - per tutte le sette vite dei gatti - quella cubana.
Arrivato nella Cuba bella, solare e sensuale ho scelto di darmi un nome d'arte, straniero e ho abbandonato Enea Della Luna e ho liberato l'Adrian Asbury che c'è in me, anche se Della Luna mi è sempre piaciuto come cognome, perché mi è sempre piaciuto pensare che venissi dalla luna, che la mia bellezza venisse dalla luna - alle ragazze piaceva, eh -, ho dovuto abbandonare anche quello.

Adrian Asbury cerca solo una donna da amare, un'esperienza nuova che Enea Della Luna non ha mai saputo sniffare. Cosa c'è di meglio che scappare in un'altra dimensione mentre si sta ancora capendo in quel letto svegliarsi la notte dopo?

(La storia di Sebastian c'è,
la sua di storia manca.)

"Coglione, andiamo." È il giorno dopo quanto successo precedentemente. Ieri me ne sono andato dopo diversi cuba libre e diverse ragazze che solo Sebastian s'è goduto.
Ma come ho sempre detto, mi va bene così.
Quel coglione che considero il mio migliore amico mi sta ancora aspettando in macchina e nessuno può dirmi qualcosa perché - come ho già fatto notare - siamo i ricchi del palazzo e abbiamo quel rispetto tale da non esser disturbati. Avere una macchina è tutto per i cubani.

Al nostro ritorno a "la melodía" noto una giovane donna accasciata vicino l'entrata che sta, visibilmente, piangendo.

"¿Necesitas ayuda?" Cerco di essere il più carino e, soprattutto, disponibile possibile.

"Sono Adele, Adrian." Dice, non alzando la testa. Sbarro gli occhi, come ho fatto a non accorgermene, cazzo. "Non fare nulla. Resta lì dove sei. Continua a parlare in italiano, non ti deve capire nessuno."

"Mi fai preoccupare così, Adele." Ad ogni frase mi è troppo difficile non mettere enfasi nel suo nome.

"James, il soldato, mi tiene sempre stretta a lui e non posso dirti nulla."

"Cosa mai potresti dirmi?" Sono sempre più confuso.

"Tuo padre è morto, Adrian. Sono venuta da te per dirtelo. Sono la figlia di una cara amica di tuo padre e quando mi hanno dato la notizia qualche mese fa non ho fatto altro che cercarti." Mi allontano dalla figura femminile di cui la mia mente si è infatuata per affrontare l'ammontare di notizie che la sua voce mi sta dicendo. Mio padre non può essere morto, l'unico ostacolo dal non rivelare la mia identità, la possibilità di diventare qualcuno in questa città non può essere morto. Non può essere morta la persona a cui ogni mia paranoia è dedicata.

"Mi dispiace, tesoro, è stato ucciso dal mafioso di Trastevere." E tutte le cazzate che credevo fossero soltanto verità poco credibili diventano più lucide dei miei occhi. Infrango la promessa e cado per terra, dando all'occhio, procurando agitazione e curiosità negli umili lavoratori del pub. Sebastian si affretta ad avvicinarsi.

"Mio padre è stato ucciso." Non so in quale modo, forse aveva sentito già tutto, ma comprende da chi e abbraccia il corpo esile della persona che mi ritrovo ad essere.
E per una volta dopo tanto tempo, divento la persona a cui affidare un possibile dolore, prendendo le sembianze di uno dei tanti cittadini che passano davanti la statua di John Lennon al Parque Central, Centro Avana.




*
*
*
Eccomiii
Questo è uno dei capitoli che mi piacciono di più, quello che lo seguo è stupendo, davvero mi sono superata (how to be modesta)
Spero vi sia piaciuto ed entriamo finalmente nel vivo della storia.
Ditemi cosa ne pensate.

𝐏 𝐀 𝐑 𝐀 𝐍 𝐎 𝐈 𝐀  | s. claflinDove le storie prendono vita. Scoprilo ora