Capitolo 1

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Si sciacquò il viso nel disperato tentativo di ritornare alla realtà, sperando che quell'acqua potesse cancellare quel maledetto mal di testa che somigliava ad un martello pneumatico a lavoro sulla sua nuca, e che tutto le riaffiorasse alla mente. Vano.
Prese fiato, non aveva idea di quanto tempo fosse passato da quando era entrata in quel bagno, in realtà non aveva nemmeno idea di dove si trovasse con esattezza e in che modo ci fosse finita, per quale motivo. In preda alla confusione, uscì da quella stanza con relativa naturalezza; non incontrò nessuno lungo il corridoio, e l'unica ragione per la quale lo stava attraversando era proprio trovare qualcuno che potesse darle un qualche straccio di spiegazione, così cominciò lentamente a subentrare la disperazione.
Alla fine del corridoio, giunse in un'ampio salotto illuminato da due portefinestre, al centro di esso vi erano due divani color panna, proprio da uno di questi si alzarono i primi due individui con cui si accingeva ad entrare in contatto da quando aveva memoria. I due sobbalzarono alla sua vista, il più basso si riparò alle spalle dell'altro, che alzò le mani mostrandole i palmi come in segno di resa.

"Non uccidermi, ti prego!" urlò il primo, che sembrava essere più adulto rispetto all'altro codardo. Non riuscì a capire il senso di quella frase... ucciderli? perché mai avrebbe dovuto ucciderli? li conosceva, era casa loro, avevano tentato di far del male a qualcuno? questo Mabel non riusciva a ricordarlo. Quelli erano in due, erano più alti di lei, più robusti di lei, e di questo era certa, s'era vista bene allo specchio.

"Avevo solo bisogno del bagno" rispose tentennante Mabel, guardandosi intorno alla ricerca di qualche prova del fatto che i ragazzi davanti a lei avessero assunto un qualche genere di droga piuttosto pesante per arrivare ad aver paura di lei.

"Puoi fare quello che vuoi, prendi quello che vuoi" suggerì il più giovane, con un tono di voce così alto e stridulo che lei quasi fece fatica a comprendere il significato delle sue parole.
Mabel, incerta sul da farsi, con quei due che non si muovevano di un millimetro e non accennavano a darle alcun tipo di indizio riguardo chi lei fosse e cosa ci facesse lì, cominciò a gironzolare per la stanza, quasi la stesse esplorando, per poco non credette di essere un cane da tartufo. Droga ce n'era, soldi ce n'erano e sangue pure, aveva vinto alla lotteria. Allora cosa stava combinando lei in quell'appartamento?
La situazione sembrò evolversi solo quando un ragazzo, che avrà avuto l'età di Mabel, qualunque lei età avesse, entrò in scena. Lui ebbe un comportamento totalmente diverso, non la pregò di risparmiarlo né niente del genere, anzi, era chiaramente sollevato di vederla. La guardò negli occhi per qualche secondo, aveva gli occhi celesti come il cielo ed un candido sorriso sulle labbra, la sua espressione era rilassata e distesa quando finalmente incontrò lo sguardo di Mabel, subito dopo però la sua serenità si tramutò in collera, qualcosa non andava. Quel cielo divenne cupo e vennero tuoni e saette pronte a colpire quei due poveri disgraziati su cui, dopo brevi attimi, posò la sua iraconda attenzione. L'unico che verosimilmente potesse sapere chi Mabel fosse, estrasse una pistola e la puntò contro gli altri due, che erano già da tempo in una posizione propizia per pregare di essere risparmiati, ma le loro preghiere non servirono a nulla. Due colpi, dritto alla testa. Morti, istantaneamente. Mabel era pietrificata, non riuscì a dire o a fare nulla per fermarlo, neanche ebbe il coraggio di guardare, piuttosto abbassò gli occhi sul pavimento, coprendosi le labbra con la mano sinistra, che ancora aveva un tanfo particolare di cui non riusciva a liberarsi. Forse era sangue, forse lei aveva le mani sporche di sangue, forse le chiedevano di essere risparmiati perché lei aveva ucciso qualcuno. Era verosimile dimenticare di aver stroncato una vita? dimenticare l'odore acre del sangue e non riuscire più a riconoscerlo? No, non poteva essere accaduto.
Mentre queste domande affollavano la mente di Mabel, che straordinariamente riusciva ad essere vuota, una tabula rasa, priva di ogni ricordo o conoscenza, ed allo stesso tempo piena, piena di pensieri, di domande, di paure, di incertezze, il ragazzo fece qualche passo verso di lei. Lui sapeva qualcosa, lui solo guardandola in faccia aveva capito che era successo qualcosa di strano, e si avvicinò con cautela. Più Mabel guardava quei corpi senza vita, più si sentiva responsabile, e più le cedevano le ginocchia. Fu sul punto di cadere e raggomitolarsi su se stessa, allora lui la afferrò per le spalle, rallentandone la discesa, accasciandosi sul pavimento insieme a lei.

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