Capitolo 4

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Ci volle una settimana perché la gente capisse che la sottoscritta non si sarebbe più fatta mettere i piedi in testa da Luke, ma la cosa portò i suoi frutti. James si era avvicinato a me con curiosità, ma non lo aveva mostrato con cattiveria. Non mi aveva trattata come un fenomeno da baraccone, anzi mi aveva mostrato rispetto. Era così carino, con i suoi occhi verdi brillanti e i capelli biondo cenere sempre davanti agli occhi. A volte mi ricordava un adorabile bambino, un bambino dall'energia inesauribile e dall'ironia sorprendente. Purtroppo, o per fortuna, era anche molto sveglio e mentre camminavamo verso la mensa si accorse che qualcosa non andava.

-Che hai?- Si sporse in avanti per guardarmi meglio e mi sentii in colpa. Avevo smesso di ascoltarlo nel bel mezzo del discorso solo perché mi si era materializzato davanti Michael Clifford. Quella specie di fragola da strapazzo giocava brutti scherzi al mio cervello.

-No, nulla, mi sono distratta. Scusa. Dicevi?- Sbattei le palpebre diverse volte con la speranza che Michael si volatilizzasse nel nulla, ma non accadde. Quando gli passammo davanti mi accorsi, con la coda dell'occhio, che ci stava fissando.

-Ti ho chiesto se ti va di venire alla partita che ho tra due ore... mi farebbe piacere se tu venissi- Nonostante fossi stata sgarbata nei suoi confronti mi stava sorridendo. Era così adorabile.

-Buongiorno moschettieri!- La voce di Corinne trillò alle nostre spalle e per poco non mi spaccò un timpano. Avrebbero dovuto metterla al mondo con una manopola per abbassare il volume del suo entusiasmo.

-Buongiorno, Corinne- Risposi tastandomi l'orecchio dolorante. Feci una smorfia di disapprovazione che portò James e la mia strampalata amica a ridere. Luke, alle spalle della ragazza, non rideva per niente. Al contrario ci fissava in cagnesco e per una frazione di secondo desiderai urlargli in faccia di smetterla.

-Co, tu ci vieni alla partita di James?- Quest'ultimo mi circondò le spalle con un braccio e le sorrise speranzoso. Sapeva che in fin dei conti avevo imparato a volerle bene e quanto avrei apprezzato la sua compagnia anche fuori dall'orario scolastico. Mi resi conto di sentire un po' più caldo del normale solo quando James si trovò costretto a spostarsi da me. Luke aveva colpito di nuovo e la sua influenza sul piccolo mondo della Nordwest era ancora troppo grande. Mi grattai distrattamente il braccio dando appuntamento a Corinne per quel pomeriggio, per poi andarmi a sedere ad un tavolo con James.

-Ci sono anche io alla partita, Fiorellino- Michael sbucò dal nulla e rischiai che il mio cuore cedesse per la sorpresa.

-Ma ti sembra questo il modo di arrivare?- Mi obbligai a mantenere un tono di voce basso, ma mi preoccupai di lasciar trasparire tutto il mio disappunto. Guardai Michael in cagnesco, con tanto di palpebre assottigliate e broncio. Che scena infantile, lo so.

-Come sei carina con il broncio. Be', adesso ti lascio mangiare, Fiorellino. James- Si scambiarono un'occhiata tutt'altro che amichevole. Finsi di non accorgermene, non mi riguardava.

*

Corinne spuntò alle mie spalle spaventandomi per la seconda volta quel giorno. Ma che diavolo prendeva a tutti? Era forse il giorno nazionale spaventiamo Kresley? Le rivolsi uno sguardo di fuoco e lei non fece altro che ridacchiare. Si passò una mano tra i capelli corti e mi diede una spallata scherzosa.

-Ti sei accaparrata il capitano, eh?-

-Ma quale accaparrata e accaparrata. Siamo solo amici- Per rendere ancor più chiaro il concetto feci persino lo spelling della parola, ma la ragazza seduta accanto a me non poté che alzare gli occhi al cielo ridendo. Cosa c'era di così divertente? Dopo tutto, non era neanche il primo ragazzo con cui parlavo, se volevamo essere precise. Anzi, il primo era stato Michael e il nostro rapporto era stato ben più intimo, se così si poteva definirlo, di quanto quello con James sembrasse destinato a diventare. Sapevamo entrambi che l'ombra di mio fratello avrebbe sempre troneggiato su di me e che James non si sarebbe preso la briga di ignorarla. Era così e basta, non gliene facevo una colpa. Era già un miracolo che avesse cominciato a parlarmi.

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