Capitolo 5

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  Il ragazzo dai capelli ricci, Irwin, venne scaraventato indietro da un flusso d'aria. Michael aveva il braccio teso in avanti e fissava i due in cagnesco. Sentii il cuore rimbombarmi nelle orecchie, la paura mi scorreva ancora nelle vene e non riuscivo a regolarizzare il mio respiro. Ero stata a un passo dal farmi schiacciare da quello che aveva ottime probabilità di essere un pazzo furioso.
-Kresley, va' in classe. Subito- Mi ordinò Luke cercando di evitare un pugno da parte di quello che scoprii chiamarsi Hood.
-Non se ne parla, Luke- Dentro di me sentivo di dover reagire, di fare qualcosa per aiutarli.
-Che destino crudele... possedere due poteri e non poterne usare uno. Proprio una gran bella sfortuna, non credi, Clifford?- Irwin scoppiò a ridere, come se ci fosse qualcosa di divertente in tutta quella situazione. Mi sentivo molto confusa, non capivo che cosa stesse succedendo e mi sembrava che il mio mondo fosse sul punto di crollare, schiacciato da una nuova consapevolezza.
-Se facessi saltare l'impianto antincendio dovremmo rimandare questa simpatica visita- Michael parlò senza espressione, poi con un gesto annoiato della mano scaraventò il suo interlocutore contro una fila di armadietti. Produssero un suono metallico fortissimo, presto qualcuno sarebbe venuto a controllare e sarebbe stato impossibile spiegargli il perché di quanto si stava svolgendo tra i corridoi scolastici. 

Un fremito scosse le mie dita, c'era qualcosa di più sotto la superficie della mia pelle e chiedeva di essere liberata. Strinsi la mano a pugno e un muro d'acqua si innalzò davanti a Luke, giusto un secondo prima che Irwin sferrasse il suo attacco. Pochi istanti dopo lui e Hood scomparirono come erano venuti. Sentii le forze venirmi meno e dovetti appoggiarmi a Michael, che avvolse la mia vita con un braccio e mi rivolse uno sguardo carico di preoccupazione. Mi sentivo fuori dal mondo, confusa e sconvolta, incredula davanti alle piastrelle immacolate che fino a pochi attimi prima erano bagnate e coperte di un potere oscuro. Non sapevo che cosa fosse, ma la sensazione che mi aveva attanagliato lo stomaco all'arrivo dei cattivi era inequivocabile: si trattava di terrore. Alzai lo sguardo verso Michael, sperando che bastasse come ringraziamento.

-Kresley, vai in classe e chiedi alla prof di andare a casa. Ti aspetto all'ingresso- Non riuscii ad obbiettare, mi sentivo debole come un ramoscello secco e dubitavo di riuscire a comportarmi in modo normale davanti alla classe dopo quanto accaduto. Cercai di estrapolare un lato positivo da tutta quella situazione e l'unica cosa che mi venne in mente fu che almeno non avrei dovuto fingere di stare male. Con tutte le probabilità sembravo uno zombie e sarebbe stato facile convincere chiunque a mandarmi a casa.
Luke mi aspettava nell'atrio della scuola e sembrava avere molta fretta. Lo raggiunsi il più velocemente possibile, poi mi diressi insieme a lui verso l'unica vettura ferma in mezzo alla strada a quell'orario improbabile. Era Michael.
-Portaci a casa mia- Ordinò mio fratello una volta allacciate le cinture. Avevo bisogno di risposte, nonostante dubitassi di voler stravolgere la mia percezione del mondo circostante. Abbassai lo sguardo sulle mie mani e sospirai. Cosa mi stava succedendo? Da dove veniva tutta quella forza che sentivo dentro quando usavo l'acqua come se fosse un film di magia? Perché mi faceva sentire così libera ed energica, ma allo stesso tempo fragile e impaurita?
-Cosa sta succedendo?- Mormorai, più a me stessa che ad altri, ma Luke mi fissò dallo specchietto laterale. Non traspariva alcuna emozione, era freddo come una statua di marmo. Com'era possibile? Il suo sguardo privo di espressione mi ricordò quello di Irwin e le sue iridi castano-verdi mi tornarono in mente. Un brivido percorse la mia schiena. Quello sguardo vacuo era agghiacciante. Eppure... eppure i suoi tratti avrebbero potuto sembrare così dolci. Quel viso da ragazzo gioioso, quella profonda fossetta che lo rendeva più piccolo e quelle braccia che avrebbero potuto essere accoglienti.
Arrivati a casa decisi di disobbedire parzialmente agli ordini di mio fratello e anziché andare in camera mia rimasi appoggiata alla balaustra del primo piano. Guardai giù, verso il fondo delle scale, mentre in salotto i due ragazzi confabulavano. Avrei voluto avere un super udito, ma potevo recepire solo alcune parole o frasi sconnesse. Michael aveva detto che avrebbero potuto trovarmi da sola, che eravamo stati fortunati. Si parlava di proteggermi e di fallire, di quella stessa Lilith nominata dai due pazzi che avevano stravolto la nostra giornata e forse la nostra vita e di ultime chance. 

Era tutto maledettamente incomprensibile e mi stava venendo mal di testa a pensarci. Avrei voluto urlare e l'unico modo per farlo era affondare la faccia nel cuscino. Sperai ingenuamente che strizzare forte gli occhi e strillare contro il guanciale fosse sufficiente a cancellare le ultime ore, a partire dal bacio di James. Chissà che cosa sapeva mio fratello e perché non mi aveva mai detto nulla. Credeva forse che non avrei compreso? Certo, la povera piccola, stupida Kresley Isabella Hemmings. Repressi l'impulso di mandare a quel paese il mondo intero e cercai conforto nella mia immagine riflessa nello specchio. 

Gravissimo errore. 

I miei capelli azzurri erano arruffati e avevo gli occhi rossi e gonfi, il trucco era colato giù per le mie guance e aveva macchiato il mio viso. Lanciai tutti gli oggetti che mi capitarono sotto mano e un minuto dopo qualcuno bussò insistentemente alla mia porta. Avanzai di un passo verso la maniglia, ma la vista mi si fece sfocata e quando divenne nuovamente nitida mi trovai in una strada. Era un parcheggio, forse uno di quelli accanto agli stabilimenti industriali, e quattro figure vestite di nero salivano in macchina scambiandosi il mio indirizzo. Portavano lo stesso tatuaggio di Irwin e Hood e il panico si impossessò di me.  

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