CAPITOLO 13

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Luca si svegliò in un bagno di sudore.

Stando a quanto dice l'orologio, aveva dormito appena un paio d'ore, solo che per lui sembravano anni.

Le serrande della sua camera erano state alzate, probabilmente dai genitori del suo compagno di stanza, intenti a svegliarlo con il sole negli occhi.

Fatto sta che, sempre che siano stati loro, il suo compagno mancava all'appello. Probabilmente aveva persino preso la briga di fare qualcosa di costruttivo, perché in fatto di dimissione, aveva meno chance di tutti, perché probabilmente nemmeno se ne sarebbe accorto, data la sua propensione a dormire.

Luca si alzò dal letto e, freneticamente, corse a lavarsi, pronto per fare le solite cose che gli hanno detto di fare.

Insistono molto sulla costanza nel prendere delle pillole gialle e poco invitanti, i medici, ma Luca non vedeva nessun miglioramento. Alla fine, dopo aver mangiato qua e là alcune fette biscottate e uno yogurt con la data di scadenza dello stesso giorno, si incamminò nei corridoi.

Di solito alle dieci aveva la sua sessione di psicoterapia, ma essendo appena le otto del mattino, si mise a gironzolare in lungo e in largo per i reparti.

Effettivamente, nonostante lui si sentisse bene, il suo viso comunicava diversamente. Le profonde occhiaie crescevano ogni giorno di più, lasciando un severo contrasto con il suo naturale pallore, il che in pratica lo faceva assomigliare a un panda insonne e molto umano.

Il suo malessere fisico e mentale era una delle poche cose che si intendevano immediatamente, appena lo si vedeva in volto. Persino le persone che di solito ignorano il fatto che la gente può stare male emotivamente se ne sarebbero accorte. Probabilmente era lampante il fatto che Luca parlava poco e si impietriva appena qualcuno gli rivolgeva la parola, o forse era il fatto che trasmetteva un'aura cupa carica di malessere, così profondo da non poter essere lasciato inosservato. Camminava strascicando i piedi, quando non era impegnato nel suo gioco delle mattonelle. Mangiava solo dolci, perché sennò non avrebbe toccato cibo. Il cibo per lui non aveva più sapore, il mangiare era diventato qualcosa di astratto, ma allo stesso tempo siri trovava a pensare ai sapori di una volta, alla pizza fatta al forno a legna, alle patatine fritte e agli hamburger con il bacon affumicato.

Per di più, Luca aveva una corporatura esile, così esile che solo al suo passaggio, ti verrebbe voglia di accudirlo, di cingerlo a te e tenerlo al caldo, dirgli qualcosa di dolce. Ti verrebbe voglia di rassicurarlo nonostante non sia preoccupato di niente, ti verrebbe voglia chiacchierarci nonostante non sappia cosa dirgli.

Il problema di Luca era che nessuno, nonostante fosse così evidente il suo malessere, volesse stargli vicino. Molte persone si scocciavano non appena lui si mostrava apatico e inappetente, molti si allontanavano da lui e iniziavano ad evitarlo.

Queste persone non sapevano che fare questo è come il quindici marzo del quarantaquattro avanti Cristo, ovvero una pugnalata dopo l'altra a quel poveraccio di Giulio Cesare, magari accompagnata da uno «Scusami tanto, ma dovevo»

Eppure è così palese.

Eppure, nonostante sia così palese, la gente continuava a ignorare questo suo disagio, perseverando a occuparsi di cose futili e vane, senza concentrarsi sulle cose vere, che potevano fare la differenza.

Un sorriso poteva fare la differenza, ma non l'ha mai ricevuto.

A ogni modo, non tutta le persone tendevano a evitarlo. Evidentemente, coloro più inclini alla carità verso il prossimo, erano anche coloro che, quasi ovviamente come un sillogismo imprescindibile, riuscivano a regalare a Luca dei piccoli sorrisi. È vero, alcuni ancora ci riuscivano.

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