La solitudine è una delle sensazioni più brutte tra quelle che si possono sperimentare nel corso dell'esistenza. Essere soli vuol dire creare un varco nella propria esistenza, un varco buio e vuoto, e non riuscirli a riempire. Il varco cresce, cresce fino a che diventa impossibile fermare questa sorta di degenerazione, e non puoi più fare niente.
Le solite cose sulla solitudine sono già state scritte in almeno tre quarti della letteratura mondiale di sempre, perché l'essere soli è una connotazione comune a tutti gli esseri umani che sperimentano l'esistenza terrena. Nel cuore di ognuno di noi si crea un varco, tra il ventricolo destro e quello sinistro, e se non lo si riesce a riempire, cresce, spazzando via ogni sorta di affettività e sentimento. Se invece lo si alimenta, esso si placa, come un cucciolo affamato che può tornare a dormire serenamente.
Alimentarlo è difficile. È una di quelle cose veramente difficili, che non riescono molto facilmente. Bisogna caricarsi di tutte le nostre debolezze e le nostre delusioni, e metterle da parte, riporle in un vascello che salperà lontano da noi, così che non ci venga nemmeno in mente di ripescarle e usarle come espediente per tenere vuoto il nostro varco.
L'essenza della linfa vitale che ci scorre dentro cambia da individuo a individuo, come una sorta di inestinguibile fabbrica di stati d'animo implacabili che, mutevoli, scorrono dentro la nostra persona e la modifica in continuazione, come sotto effetto di un qualche sortilegio.
Ognuno di noi, nella nostra vita, ha un compito diverso. Non siamo fatti per essere omologati a migliaia di altri nostri simili, già identici a noi perché anche loro mortali. Siamo fatti per emergere, per coronare la nostra individualità giorno dopo giorno, indossando i panni che più ci si addicono, lasciando perdere gli schemi che la vita ci propina ed essere solo ed esclusivamente noi stessi.
C'è chi deve lottare per esserlo. C'è chi deve soffrire, piangere, strepitare. C'è chi non si accetta e vuole cambiare, c'è invece chi ama se stesso fin troppo, e finisce per annientarsi.
Clyde aveva tre amanti, due uomini e una donna, e nessuno dei tre sapeva dell'esistenza degli altri. Clyde era un uomo sulla trentina, con la schiena perennemente infossata e lo sguardo assonnato. Era un amante dell'horror e del cibo fritto, ma non ingrassava perché ipotizzava che, spaventandosi per il continuo horror, bruciava più calorie di quante non ne assumesse con tutto quel fritto. Aveva i capelli brizzolati, precocemente brizzolati, ma da tempo non ci faceva più caso, perché probabilmente non aveva mai dato peso a questa faccenda, come se fosse il regolare decorso della vita, nonostante non avesse più di trentatré anni. Non si meravigliava più della sua postura, né di quanto mangiasse, né aveva interesse a dormire di più per modificare il suo costante sonno, magari dormendo regolarmente.
Le menzogne intessevano la sua vita, un nugolo di menzogne ancorate alla sua realtà, viscose e impossibili da eliminare con un colpo di polso ben architettato. Di lavoro era un ingegnere civile, passava le sue giornate a girare a destra e a manca per il suo ufficio, vagando molte volte senza una meta, se non quella di prendersi un caffè alla macchinetta o di andare a fumare una delle tante sigarette della giornata. Aveva un accendino con dei motivi psichedelici, e se lo guardava la mattina, con il sole che cadeva direttamente su di esso, avrebbe giurato che si muovessero. Di rado tagliava la barba, ormai anch'essa brizzolata, ed erano più di cinque anni che si spruzzava addosso la solita colonia, che comprava e ricomprava. Era l'abitudine, quel senso di routine continuo, che gli impediva di uscire dalle sue menzogne. Il lunedì andava a lavorare intorno alle nove e trenta, gli altri giorni, fino al venerdì, alle otto era già davanti al palazzo del suo studio, uno studio immenso con altri ingegneri e architetti, nonostante il tutto non diventasse operativo prima delle otto e trenta. Il lunedì sera andava sempre a cenare a casa di Jude, il suo primo amante nella lista degli amanti, e insieme bevevano del buon vino e guardavano i reality in televisione, finivano sempre per fare dell'ottimo sesso, nonostante Clyde pensasse di rado a lui, ma questo non glielo aveva mai detto. Se ne andava dacasa di Jude intorno a mezzanotte, barcollando per via del troppo vino. A dire il vero, non era attratto da Jude per le sue qualità, per la sua cucina impeccabile o per la sua smisurata igiene, né dalla sua pelle color ambra. Era attratto dalla sua routine, dallo stesso vino ogni lunedì sera e dai soliti programmi, dai soliti canali, dalla solita posizione che adottavano ogni volta che facevano l'amore.
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Nessuno è solo
General FictionÈ strano come tre fratelli di origini americane si ritrovino sbalzati nella realtà di una piccola cittadina del centro Italia. Ed è altrettanto strano e inaspettato il motivo per cui si trovino lì. Ognuno di loro ha dei sogni nel cassetto così come...