Il giorno dopo, la sera, Hoseok era a casa. Sentii Namjoon salutarlo all'entrata. Uscii da camera mia per salutarlo, in fondo al corridoio c'era Yoongi. Lo sguardo vuoto, sembravo non esistere per lui in quel momento. Il mio corpo traboccava di ansia, non capivo il motivo di quegli occhi, oltretutto ogni più piccolo cambiamento nel comportamento dello hyung mi preoccupava.
«Jimin-ah!»
Il braccio di Hoseok mi circondò le spalle e mi ritrovai a pochi centimetri di distanza quell'innocente sorriso così contento, ma tradito dalla tristezza intrisa nei suoi occhi. Non potevo stare tranquillo, non più. Non volevo crederci, ma il mio animo non faceva che pensare, pensare a ogni più piccolo particolare. Hoseok era arrivato a porre fine a tutto?
«Bentornato.»
Al mio silenzio rimediò Yoongi con quell'unica parola e un sorriso così dolce che sarei stato capace di piazzargli un pugno nello stomaco dalla gelosia che provavo, se solo non ci fosse stato Hobi. Tuttavia il primo flagello non fu quel sorriso. Udii la prima tromba e lì, in quell'espressione colma di compassione, l'angelo scagliò la freccia. L'origine di quella compassione non la conosco ancora, eppure fece così male. Il calore di Hoseok svanì, si staccò da me e raggiunse il mio amato. Abbassai lo sguardo. Stringevo i pugni. Avevo un nodo in gola, sentivo il cuore stringersi, mi sembrava di sanguinare dall'interno, sangue straripante d'ansia. Intanto la coppia s'allontanava, scomparsi nel loro universo perfetto, dove non c'era spazio per una nebulosa imperfetta come me. Una mano morbida tra i miei capelli, li scompigliò.
«Jimin-ssi!»
Tutto svanì. "Il tuo maknae sarà sempre qui ad aiutarti." Fu allora che compresi davvero quelle parole e quanto fossero essenziali per me. Mi voltai a guardarlo e gli sorrisi, per pochi istanti era stato capace di allontanarmi da tutti quei pensieri.
«Jungkookie...ci mangiamo una pizza?» Annuì con gli occhi sorridenti.
«Ordino subito,» prese il telefono allontanandosi per un po' da me. Le nostre pizze arrivarono circa mezz'ora dopo.
Credo che durante quell'ora, mentre mangiavo con lui, abbia vissuto per davvero, senza pensare a nulla e nessuno. Forse in realtà pensavo e tutto ciò era un'illusione, ma era un'illusione davvero serena. Se era un sogno, avrei preferito non svegliarmi. Parlavamo di frivolezze, tra una battuta e l'altra, risate e sorrisi riempivano la cucina. Eppure, in quella gioia, si sentì il suono della seconda tromba. Il mio cavaliere dell'Apocalisse aveva varcato la porta. Jungkook alzò lo sguardo verso di lui, così mi voltai d'istinto, nonostante sapessi perfettamente chi fosse.
«Jimin. Devo parlarti.»
Nessun preavviso, nessuna espressione, il sangue mi ribolliva in corpo, il respiro veniva a mancare. Tutto cominciò a tremare dentro di me, non avevo idea di cosa volesse dirmi, ma non era certo qualcosa di felice come l'aria che si respirava fino a poco prima in quella cucina. Con un filo di voce risposi:
«Finisco di cenare e arrivo,» non lo guardai negli occhi, sembravo sul punto di piangere nonostante non avessi lacrime da versare, vedevo il vuoto, sentivo il vuoto e lui sembrava non interessarsene minimamente. Tutto ciò causò ancora più dolore.
«Ti aspetto nello studio.»
Lo sentii allontanarsi, lo sguardo di Jungkook mi pesava addosso. Respirai profondamente a occhi chiusi, nella speranza di dimenticare cosa fosse appena accaduto, nella speranza che tutto ciò fosse davvero un sogno finito male. Il maknae non fece domande, non era solito farne, però non rimase zitto come speravo facesse.
«Non provare a negare la realtà, anche se siamo contenti, non vuol dire quella sia la felicità.»
Sorpreso alzai lo sguardo e per un istante incrociai il suo, me ne distolsi il prima possibile. Non avevo idea di quale reazione dovessi avere, nella mia testa non c'era nulla se non paura, una paura accecante.
«Beh, guarda il lato positivo: è durata poco.»
"Poco." Lo disse con una tale leggerezza. Per un attimo desiderai essere spensierato come lui, l'istante dopo, quella parola, "poco", risuonava nella mia mente come un grido silenzioso. Erano passati solamente tre giorni, il mio cuore aveva vissuto tre anni. Quelle 72 ore erano bastate per farmi sprofondare in un oblio d'amore nel quale ancora oggi continuo ad annegare.
Trascorremmo i minuti seguenti in silenzio. Poi mi alzai controvoglia. Jungkook aveva ragione: dovevo affrontare la realtà. Almeno di questo volevo convincermi, dentro di me però era iniziata a crescere quella maledetta speranza che mai ho desiderato avere. Salii al piano di sopra e giunsi davanti alla porta del Genius Lab, era aperta. Entrai e ad accogliermi fu la schiena di Yoongi, il capo chino, come sempre un po' ingobbito.
«Eccomi,» sorridevo. Come un bimbo che spera la mamma non lo sgridi. Ero ridicolo.
«Taglierò corto, non voglio discussioni,» udii la terza e ultima tromba, «finiamola qui.»
Quello che pensavo sarebbe stato l'ultimo flagello della mia Apocalisse si conficcò dritto nel mio petto, distruggendo ogni granello di speranza, ogni parvenza di gioia. In quella totale disperazione che riempiva i miei pensieri, una sola domanda proferì la mia bocca:
«Perché...?»
«Perché è sbagliato!»
Alzò la voce. Sembrava intenzionato a voltarsi verso di me. Stringeva i denti e teneva gli occhi chiusi, quasi stesse cercando di in vedere ciò che stava accadendo, forse non voleva nemmeno sentirlo.
«È sbagliato. Io sto con Hoseok, non posso certo avere una relazione con te...»
«Ma tu ami me.»
Non pensai. Fu l'istinto a rispondere a quella sua espressione che sembrava provare tutto tranne che amore per Hoseok. Fu l'arroganza a intervenire, perché in fondo mi sentivo speciale. Infatti in quei brevi istanti mi sentii potente, unico nell'universo di Yoongi e capace di porre fine a tutto ciò.
Ma cadde Assenzio.
«Io, Jimin, non ti ho mai amato. Se sto con Hoseok è perché amo lui, non te. Tu sei stato solo un gioco, nulla di più.»
La stella apocalittica distrusse il mio mondo. Non scesero lacrime. La sua voce era rotta, ma non volli credere a quell'impressione. I suoi occhi erano lucidi mentre mi guardavano, osservavano ogni centimetro di me, quasi volesse stamparmi nella sua mente un'ultima volta. Ma non ci credevo. Le sue labbra tremavano, i denti stretti, ma non volevo crederci. In tutto ciò rimasi congelato, lo guardavo mentre assistevo al mio universo distruggersi. Impiegai forse troppi secondi a comprendere le parole che mi aveva detto, poi sospirai e annuii.
«Va bene. Ci vediamo domani.»
Lo abbandonai. Uscii dal Genius Lab. In quel buio senza fine che provavo dentro di me, vidi una luce. Una lanterna coperta di sangue m'indicava la strada. Non so se fu un sogno o una visione, ma il giorno dopo tentai il suicidio e quella lanterna prese fuoco. Non so chi appiccò il fuoco, ma dal giorno seguente l'alcol divenne il mio migliore amico e la mia anima cominciò a bruciare. Non sentii alcun dolore, ma l'unico bruciore che provai da allora fu quello di passioni inesistenti.
Di quel 12 marzo sono rimaste solo cenere e una domanda:
«Per quanto andrai avanti?»
STAI LEGGENDO
Crepuscolo
Fanfiction«Per quanto andrai avanti?» Un'unica domanda per due animi. Un'unica domanda a due menzogne. La risposta è il silenzio, un grido, uno sguardo. Infine un desiderio esaudito, una lacrima sul viso e la consapevolezza che tutto è finito. - YoonMin SMUT...