Capitolo 38 - La Fine Dei Giochi

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Era passato più di un anno da quel lontano giorno e per sopperire alla perdita della sua presenza nella mia vita mi ero dedicata anima e corpo a crescere la mia bambina. Non avrei mai potuto dimenticarlo o anche solo provarci perché tutto in lei me lo ricordava: le espressioni, il sorriso e la sua testardaggine. Il vuoto che aveva lasciato tra noi era incolmabile e, anche se Samantha era ancora piccola, non mancava giorno in cui non mi chiedesse di suo padre.

Ma che cosa avrei mai potuto risponderle se neanche io sapevo dove potesse essere finito?

Non mi volevo fare illusioni ma davanti al suo sguardo non ero riuscita a dirle che forse suo padre non sarebbe più tornato, così l'avevo sostenuta nella fantasia che forse un giorno Jonathan si sarebbe rifatto vivo. Nel frattempo, cercavo di tenermi impegnata, l'avevo iscritta a scuola dove aveva stretto amicizia con due fratelli del posto e da quel momento erano quasi diventati inseparabili, così come io ero entrata subito in sintonia con la loro madre che era una signora abbastanza in vista in questa piccola cittadina.

Ci eravamo ritrovate a passare pomeriggi insieme e a fidarci a lasciare i nostri figli a passare del tempo da soli, fantasticando su chi mia figlia avrebbe sottomesso al suo volere per primo: era una piccola e irresistibile furbetta e mi rendeva ogni giorno più orgogliosa. Non avrei mai pensato di arrivare un giorno ad amare incondizionatamente qualcuno all'infuori di me e stentavo ancora a credere di essere riuscita a mettere al mondo una bambina così bella, nello stesso identico modo in cui non avrei mai creduto che un giorno avrei fatto un figlio e invece... eccomi qui.

Mi ero ritrovata a chiamare Arthur dopo che mi aveva fatto avere il suo recapito e per sua decisione avevamo finito per organizzare qualche giornata con la sua famiglia: aveva avuto un maschio, Thomas, e sembrava da quello che mi raccontava che la sua nuova vita andasse a gonfie vele. Ora era Arthur Grant e finalmente aveva chiuso con la sua vecchia vita. Nel sentirglielo dire non potei che esserne felice, perché voleva dire che almeno una cosa giusta nella vita l'avevo fatta.

Passare il tempo con la mia piccola mi permetteva di dimenticarmi di tutto: trascorrevano la maggior parte del tempo sulla spiaggia e quando era a scuola, ero di turno alla libreria del paese.

Stavo sistemando un nuovo ordine di libri, quando una collega venne a chiamarmi. «Vivienne, c'è una persona che ha chiesto di te.»

Scesi dalla scala e, sistemandomi la divisa, mi diressi verso il bancone. Avvistai un uomo di spalle e mi ci avvicinai. «Desidera?»

L'uomo si girò verso di me e finalmente potei vederlo in volto. Non lo conoscevo ma dal modo in cui lui invece mi squadrò pensai subito che per lui dovesse essere il contrario. «Vivienne Walker?» chiese. Annuii. «Quale libro mi consiglierebbe?» inarcai un sopracciglio perplessa dalla sua domanda. «Vede ho una figlia che compie gli anni tra pochi giorni e non so davvero dove sbattere la testa.»

«Forse dovrebbe chiedere consiglio alla madre, non crede?» fui sarcastica

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«Forse dovrebbe chiedere consiglio alla madre, non crede?» fui sarcastica.

«Non siamo più in ottimi rapporti, altrimenti non mi troverei qui a farmi umiliare da lei, non crede

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