8° CAPITOLO

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A volte, quando ci sentiamo soli, incompresi o abbandonati o anche tutte e tre le cose insieme ci dimentichiamo di quello che ci circonda, delle persone che tengono a noi che sarebbero sempre disposte ad aiutarci.

Quando ci sentiamo giù di morale, tristi, per noi nulla ha più senso, ci sembra di essere imprigionati in una gabbia di ferro dalla quale niente e nessuno possa liberarci... ma poi basta un abbraccio, uno di quelli veri, che tutto sembra prendere un aspetto leggermente migliore; perché un abbraccio ci conforta, riempe gli spazi vuoti della nostra anima con l'affetto di cui noi eravamo in cerca.

Ed era proprio questo che era successo quel pomeriggio con Ashton, quando mi sembrava che ogni cosa mi stesse crollando addosso le sue braccia rassicuranti mi avevano avvolta a sé, riparandomi dalle macerie invisibili che crollavano sulla mia testa. Ed avevamo passato il resto del pomeriggio in quel modo, senza tante parole, ma sognando che qualcosa di migliore potesse insediarsi tra le nostre vite.

Finalmente eravamo quasi giunti alla fine di quella giornata infernale, la quale sembrava non giungere mai al suo termine. Io e Ashton camminavamo uno accanto all'altra per i freddi corridoi dell'orfanotrofio, intenti a raggiungere la mensa per cenare.

Io non avevo alcuna fame, tutti gli avvenimenti di quella giornata mi avevano praticamente chiuso lo stomaco, ma dopotutto non potevo neanche stare senza mangiare nulla di nulla.

Improvvisamente ricordai che alla mensa ci avrebbero aspettato tutti gli altri nostri amici che, speravo con tutto il cuore, non avrebbero iniziato a fare tremila domande come al loro solito; molto probabilmente non sarei riuscita a raccontare loro tutto l'accaduto senza scoppiare nuovamente a piangere.

Una volta che fummo entrati nella mensa ci dirigemmo verso il solito tavolo, dove in quel momento tutti gli altri si erano accomodati, lasciando due posti liberi per me e Ashton. Così, io e lui prendemmo posto uno accanto all'altra ed io, per mia sfortuna, mi ritrovai a sedermi di fronte a Liam che stava squadrando dalla testa ai piedi me e Ash. Insomma, non potevano riservarmi posto migliore. Accanto a lui, sedeva Camille che lo guardava sognante. Dovevo assolutamente parlarle, eccome se dovevo farlo.

"Ecco qua i ritardatari!" ci accolse Louis, prendendo una fetta di pane dal cestino al centro del tavolo.

"Ashton, sei finalmente riuscito a fare colpo su Sam?" lo prese in giro come sempre Alexis, ma quello era il momento meno opportuno per scherzare su queste cose. Se solo avessero saputo il modo in cui mi aveva confortata nel momento in cui credevo che non ci fosse nessuno per me...

"No, so io cosa è successo." intervenì Liam, a cui rivolsi subito uno sguardo sconvolto. Come faceva a sapere sempre ogni cosa? A volte quel ragazzo mi spaventava, e non poco.

"Ma statti zitto. Tu non sai proprio un cazzo." gli risposi cercando di mettere a tacere la sua presunzione.

"Come vuoi, ma tu sei sicura di non voler raccontare a tutti del tuo abbraccio da diabete con Ashton?" ghignò lui con un sorrisetto stampato in faccia.

Come diavolo faceva a sapere dell'abbraccio? Mi pedinava per caso? Ma più che altro con quale cazzo di coraggio si permetteva di ficcare il naso nella mia vita privata? Non era assolutamente nessuno per farlo.

Tutti gli altri drizzarono le orecchie e guardarono nella nostra direzione interessati.

"Oh Ash, finalmente ti sei deciso a farti avanti, eh?" lo punzecchiò Alexis, divertita. Lei adorava l'argomento 'Samantha e Ashton', ma non c'era cosa che odiavo di più dei suoi commenti. Non mettertici anche tu, Alexis, non farlo.

"Certo che sei proprio un testa di cazzo, Liam. Quando avrai intenzione di smetterla di tartassarla?" intervenì Ashton, prima che potessi aprire bocca e ribattere. Ci mancava solo che scoppiasse un litigio tra quei due, era l'ultima cosa di cui avevo bisogno in quel momento.

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