2° CAPITOLO

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Tutte le persone presenti nella stanza si erano dirette, chi correndo e chi camminando, verso l'ingresso dell'orfanotrofio, che comunicava con la sala da pranzo attraverso una grande porta di legno. Gli unici tre ad essere rimasti all'interno del locale eravamo io, Camille e Louis. Essendo tra i ragazzi più grandi del Greenwood, sapevamo bene cosa significasse questo tipo di situazione. La mia migliore amica e suo fratello trovavano tutto ciò sempre "eccitante", visto che non succedeva mai granché qui dentro, ma io tutto al contrario: ritenevo che questo genere di cose fossero tra le peggiori che potessero capitare dentro questo inferno di posto. Dopotutto io ero sempre quella che vedeva le cose in modo negativo.
Louis e Camille si alzarono dalla loro sedia, molto probabilmente intenti a seguire la massa, ma io non avevo alcuna intenzione di alzarmi.

"Ragazzi, non avrete veramente intenzione di andare anche voi, vero?" chiesi loro, anche se sapevo già la risposta. Volevo provare a fermarli, ma tanto sapevo che non mi avrebbero mai dato ascolto.

"Certo! Che c'è di male? Vogliamo assistere anche noi." rispose Camille, con la frase che avevo previsto. Non capivo cosa ci trovassero di tanto interessante ad assistere all'arrivo di qualche nuovo orfano, di qualche altro bambino o ragazzo a cui era stata strappata via la possibilità di vivere una vita normale, di un altro bambino o ragazzo i quali genitori avevano deciso di fregarsene di lui e lasciarlo in un fottuto orfanotrofio.

Sbuffai accasciandomi sul tavolo, cercando di far capire loro che non era mia intenzione accompagnarli a vedere quella scena, ma loro sembrarono fregarsene di me e, camminando verso la porta di legno, cominciarono ad allontanarsi. Evidentemente erano fin troppo "incuriositi" per dare peso a me.

"Avete intenzione di lasciarmi qui, da sola?" domandai un po' scocciata io. Loro si fermarono, girandosi verso di me e mi guardarono con sguardo confuso.

"Guarda che sei tu quella che non vuole venire a vedere." rispose Louis come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Quello che aveva detto era vero, ma il mio sguardo sembrava volesse affermare il contrario, in quanto stava cercando di supplicarli di non andare.
Senza aggiungere altro ripresero a camminare e, non appena varcarono la soglia della porta, io scattai su dalla sedia.

"Aspettatemi! Non lasciatemi da sola, vi prego." dissi, correndo verso di loro e raggiungendoli in pochi istanti. Non che avessi voglia di assistere a quello di cui loro erano così tanto interessati, ma era ancora meno la voglia di rimanere sola in quell'enorme stanza dalle pareti crepate e inquietanti. Loro mi guardarono sorridendo soddisfatti ed io risposi con una smorfia e alzando gli occhi al cielo.
Insieme ci dirigemmo verso l'ingresso dell'orfanotrofio e la prima cosa che vedemmo furono tutti i bambini addossati al portone, in attesa che entrasse il nuovo arrivato. Noi ci posizionammo alla fine della massa, ma avevamo comunque un'ottima visuale in quanto eravamo tra gli orfani più grandi. Nel frattempo alcune dipendenti del posto stavano cercando di far calmare i bambini e mantenere l'ordine. Per i miei gusti c'era fin troppo trambusto per tutta questa cosa.

"A quanto vedo, siamo arrivati in tempo, per fortuna." disse Camille, sporgendosi un po' in avanti con la speranza di poter vedere qualcos'altro.
Improvvisamente una certa curiosità colpì anche a me e cominciai a farmi trecentomila domande. Sarà un maschio o una femmina? Quanti anni avrà? Quale sarà la sua storia? Oppure non ne avrà una proprio come me? Non riuscivo a spiegarmi del perché mi stessi interessando così tanto, dopotutto non poteva fregarmene di meno. Non accettavo nemmeno me stessa in questo posto, figuriamoci qualcun altro. Pensare che chiunque si trovasse qui aveva avuto dei genitori di merda che lo avevano abbandonato, mi faceva letteralmente salire il vomito. Eppure, questa volta, ero ansiosa di scoprire il nome che sarebbe entrato a far parte del registro di questo dannato edificio.

Tutto ad un tratto nella stanza calò il silenzio più totale e, piano piano, tutti e quanti portammo lo sguardo verso la parte opposta al portone principale. La mia vista rivelò una figura magra e piuttosto slanciata, dai capelli biondi e mossi lasciati cadere sulla schiena. La figura di una donna sulla cinquantina, conciata con una stupida giacca nera e una gonna stretta dello stesso colore, che le arrivava giusto al ginocchio, tutto perfezionato da un paio di scarpe con il tacco grigie. Il volto di quella figura rivelava un'espressione dura e severa, il volto di questa era forse uno dei visi che più odiavo, il più temuto da tutta l'intera popolazione dell'orfanotrofio. Mrs. Reynolds, la direttrice del The Greenwood Orphanage. Nessuno, qui, la sopportava, forse per il modo in cui i suoi occhi glaciali apparivano minacciosi, o forse per l'orribile modo in cui ci trattava. Nessuno osava mancarle di rispetto, la paura era troppa.
La vedemmo venirci incontro e farsi spazio in mezzo ai bambini, fino a quasi raggiungere il portone. Con le braccia intrecciate dietro la schiena, si mise ad aspettare la stessa persona che stava facendo stare in ansia tutti noi. Non volava una mosca, solo sguardi tesi e impazienti. E in quel momento avrei decisamente preferito essere rimasta da sola nella mensa ad aspettare che questa situazione finisse, piuttosto che dover assistere a tutto ciò.

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