16° CAPITOLO

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Mercoledì, 6 gennaio 1982

Confusa. Questo era l'unico stato d'animo che in quel momento avvolgeva la mia mente. E la confusione porta allo smarrimento, alla paura, alla pazzia.

Disorientata. Era così che mi sentivo, ed era solo un'altra delle conseguenze della confusione. Non sapevo dove mi trovassi, cosa diamine dovessi fare.

Impaurita. Sì, ero anche questo. Perché è proprio questo che si prova quando ci si sente confusi e disorientati: paura. Paura di non uscirne, paura di non trovare una soluzione, paura di non farcela.

E così, mi trovavo in bilico barcollando tra lo smarrimento e questa fottutissima paura. Avevo il timore di sbagliare qualcosa come al mio solito, timore che qualsiasi cosa avessi fatto si sarebbe riscossa su di me.

L'unica soluzione plausibile che riuscivo a trovare era scappare. Correre via e lasciare perdere quel posto strano che mi rendeva così infima. Ma, nella mia testa, ogni volta che il pensiero della fuga stuzzicava uno dei miei neuroni, subito questo veniva rimpiazzato dallo stimolo di rimanere lì.

Stavo perdendo la testa, questo era poco ma sicuro.

Impossibile per me andarmene, iniziai a contemplare il posto che mi circondava. Mi trovavo all'aperto, in una specie di giardino di media grandezza. Il suolo su cui poggiavo i piedi era per metà ricoperto da uno strato di neve che non superava i due centimetri.

Alla mia sinistra vi era una vecchia altalena che sembrava racchiudesse in sè i segreti più profondi dell'anima. Non molto lontano da quest'ultima si trovava uno scivolo che sembrava potesse crollare a pezzi da un momento all'altro.

Alla mia destra, una panchina di legno martoriato se ne stava incollata al terreno e anch'essa sembrava in grado di poter raccontare così tante cose. Il tutto era completato da qualche albero qua e là dai rami spogli.
Quella visione era così triste, così cupa.
Quel cortile appariva ai miei occhi sempre più familiare, sempre più vicino. E quando lo riconobbi il mio cuore perse un battito: il cortile non più utilizzato dell'orfanotrofio, il mio cortile.

Mi accucciai a terra e, con l'intento di assaporare sulle mani la consistenza fredda del piccolo strato di neve sotto ai miei piedi, allungai una mano e ne presi una manciata, tanto quanta ne bastava a ricoprirne l'intero palmo. Rimasi spiazzata, non era fredda come mi aspettavo... sembrava quella neve di fine inverno che annunciava l'arrivo della primavera, la soffice neve di marzo. Ma non era possibile, ci trovavamo in pieno gennaio.
Più confusa di prima, lasciai ricadere quel mucchietto di neve a terra per poi alzare gli occhi al cielo. Grigio, questo era l'unico colore presente. Grigio, era tutto completamente ricoperto da nuvole grigie che minacciavano pioggia.

Improvvisamente, una folata di vento più furiosa che mai mi travolse, costringendomi a distogliere lo sguardo da quel cielo così scuro. Il vento continuò a soffiare imperterrito, sempre più forte, sempre più violento. Con le braccia andai a ripararmi il viso, alzandomi nuovamente in piedi. Una tempesta era vicina, ed io mi trovavo qui fuori, esposta al mal tempo, senza alcuna possibilità di potermene andare.

E al rumore del vento furente, vi si aggiunse uno strano cigolio proveniente da sinistra che fece corrugare la mia fronte. Così mi voltai verso la direzione in cui proveniva quel rumore così sospetto e, con gli occhi ridotti a una fessura, cercai di scrutare al meglio ciò che la mia vista mi presentava davanti, nella speranza di capire quale fosse l'origine di quel cigolio. Ma ciò che vidi fece perdere un battito al mio cuore: cosa diavolo ci faceva una bambina lì fuori? Ma soprattutto, perché non l'avevo vista prima? Una graziosa fanciulla dai lunghi capelli mossi e castani, che non poteva avere più di otto anni, se ne stava a dondolare sopra una delle due sedute della vecchia altalena. Muoveva avanti e indietro le gambe, provocando il movimento ondeggiante di quel gioco che ogni bambino adorava provare.

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