The boy next door.

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Affondai il volto pallido nel tessuto del mio maglione profumato di rosa; quella mattina il vento soffiava talmente con tanta violenza che, se il mio corpo magrolino non fosse stato sostenuto dai vestiti, sarei sicuramente volato via. Sulla spalla portavo una borsa di cuoio sorretta dal suo solito laccio in pelle, ormai smangiucchiato dalla vecchiaia e dai troppi ricordi che aveva vissuto assieme a me ed intanto, le suole ormai grigiastre dei miei mocassini bordò scivolavano sulla strada come il burro lungo la padella cocente e quel ritmo della mia camminata non mi assicurava di certo di non cadere, ma quel giorno, era "il giorno": "il grande giorno per Louis William Tomlinson". Avrei finalmente tirato fuori ciò che in tanti anni della mia vita avevo represso con rabbia e ribrezzo. Avrei annunciato alla mia famiglia che sono omosessuale. Sospirai al solo pensiero del lungo discorso che avrei dovuto tenere di fronte alla mia famiglia con gli occhi di tutti puntati addosso ed il sudore a calarmi dalla fronte come un fiume in piena. L'ansia era troppa da poterla mantenere arginata in un angoletto, questa non era un'interrogazione dove al massimo se vai male prendi un due, no, questo era il momento più in bilico della mia vita perché avrei potuto rischiare di perdere gran parte delle persone a cui tenevo.

Continuai a scivolare lungo le strade di Doncaster cercando di confondermi tra la gente, perché, tra i loro segreti e pensieri riuscivo a nascondermi e sentirmi al sicuro, almeno per ognuno di loro ero un ennesimo passante, mentre quei volti per me erano opere d'arte d'ammirare e da capirne il senso: come quello della signora seduta sulla panchina piegata in basso per poter nutrire i piccioni o come quello del ragazzo dai capelli color pece che si apprestava a correre per prendere l'autobus con talmente tanta fretta che pareva stesse scappando da un assassino. I passanti erano, per me, la parte più interessante del piccolo posto in cui vivevo dato che ognuno di loro era diverso dall'altro.

In lontananza, dopo quel gruppo di persone che camminavano ognuna al proprio ritmo allegro o malinconico, riuscivo ad intravedere la mia piccola villetta a schiera, capace di accogliere una famiglia numerosa come la mia. Strinsi i pugni con una lieve forza mantenendo tra le mie dita il tessuto del maglione per riscaldarmi ed iniziai a dar vita e morte a passi ancora più grandi in modo da ritrovarmi in poco tempo dinnanzi alla mia abitazione. Una volta giunto con il corpo magro davanti al portone, flettei il braccio verso il campanello dorato, premendo con non troppa insistenza il pulsante che subito emise un rumore squillante ed acuto, così tanto che riuscirono ad udirlo anche le mie orecchie coperte dal paraorecchie grigio.
Dopo nemmeno due minuti sentii la porta scricchiolare ed aprirsi lentamente prima di mettere in mostra un ragazzo alto, molto più di me, con in volto un sorriso splendente a trentadue denti che metteva in mostra due fossette scavate nelle guance soffici e spoglie da qualsiasi peluria. Indossava un maglione color beige che gli copriva anche il collo e dei pantaloni blu scuro nuovi di zecca dato che non avevano nessuna piega o graffio. Da quello che potei dedurre nell'arco di un minuto era di sicuro una persona ricca, ma la domanda insistente nella mia mente era: "che ci fa questo a casa mia?"
Scrollai le spalle appena notai che il ragazzo mi stava fissando interrogativo dato che ero rimasto lì fermo come uno stupido, quindi allungai dei piccoli passi verso l'ingresso della mia umile dimora prima di ritrovarmi la mia famiglia al completo davanti, sorridente e stranamente pacifica. Quel silenzio imbarazzante e soprattutto inquietante venne interrotto da mia madre che esclamò con voce squittente, riferendosi al ragazzo accanto a me:

«Louis, questo è Harry, il ragazzo di tua sorella!»

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