Capitolo tre.

468 45 17
                                    

«Quindi qual è questo bel posto, Tomlinson?»

La voce roca e lenta del ragazzo in posizione eretta al mio fianco ruppe il silenzio che si era precedentemente creato tra di noi, obbligandomi così a ruotare anche il mio volto dai lineamenti maturi prima di schiudere le labbra rosee in modo da poter mormorare una frase in risposta a ciò che mi aveva appena domandato con fare freddo e soprattutto molto distaccato.

«Tu a casa tua, io per i fatti miei.»

L'espressione felice del giovane si divise appena mormorai quella frase e si trasformò in una leggermente delusa e nel momento in cui alle mie iridi blu risaltarono i suoi occhi colmi di tristezza e le sue labbra appiattite, il mio cuore perse un battito, come se stessi cominciando a sentirmi in colpa nei suoi confronti, mentre avrei dovuto semplicemente provare indifferenza o odio, visto che era entrato nella mia vita da due giorni e già aveva sconvolto i miei piani.
Harry sospirò sonoramente prima di tentare di formare un piccolo ed istantaneo sorriso sul proprio volto dai lineamenti infantili, mentre cercava di mascherare la propria delusione in menefreghismo o comunque nella sua solita espressione divertita: schiuse le labbra piene e rosse in modo da liberare la voce in un mormorio deciso, nascondendo il più possibile la sua delusione facendomi così sentire più lurido.

«Va bene, Tomlinson ma sappi che mi devi una festa.»

Chiuse una palpebra velocemente per farmi l'occhiolino, rubandomi una risata sincera che mi fece vibrare il petto e lacrimare leggermente gli occhi e quando la sua ilarità momentanea si unì alla mia, mi sentii come se per un secondo avremmo potuto essere amici e che magari avevo sbagliato a comportarmi male con lui, quindi sì, gliela dovevo una festa come si doveva; schiusi le labbra, ponendo fine alla mia risata per poter rispondere al suo "ordine" con tono acuto e abbastanza allegro:

«Domani c'è una festa a casa di un mio amico, ti ci porto a condizione che tu starai per i fatti tuoi senza entrare ulteriormente nella mia vita.»

Notai Harry annuire, quindi tirai un sospiro di sollievo prima di congedare il giovane con un cenno del capo, voltandomi in modo da dargli le spalle e lasciare che le suole delle mie Vans nere strusciassero sul terreno, accompagnate dal picchiettio dei tacchi degli stivali in pelle del ragazzo che camminava nella direzione opposta alla mia. In quella strada di Doncaster si udivano solo il rumore delle nostre scarpe con storie diverse, ma che alla fine si erano ritrovate ad incontrarsi e condividere un piccolo pezzo della loro vita.
Continuai ad andare nella mia strada cercando di distogliere dalla mente il suo volto e dalle mie orecchie il gradevole suono della sua voce: era un ragazzo così bello e spontaneo. Girai il capo sperando che il suo corpo fosse ancora lì, ma dietro di me non c'era niente, solo villette a schiera, marciapiedi, lampioni con la luce soffusa e piccoli strati d'erba, ma lui era scomparso nel vuoto come per magia. Sospirai. L'unico modo per potermi distrarre e sentirmi meno in colpa per il comportamento freddo che avevo avuto era andare da Stan: già, il mio unico amore. Erano ormai due anni che fingevamo di essere semplici migliori amici, ma sin da quando eravamo piccoli tra noi due c'era sempre stata un'attrazione. Accostai una mano alla tasca della mia tuta non stirata, infilandoci le dita in modo d'afferrare l'apparecchio elettronico all'ultima moda, ponendomelo sotto gli occhi e scorrere con il pollice contro il blocca schermo contenente una foto di me e le mie amate sorelline e, nel momento in cui il telefono si sbloccò, ne approfittai per comporre un messaggio dove il destinatario era il mio ragazzo:

"Stan, spero tu non stia dormendo perché sono solo e vicino a casa tua.
Ti amo,
Louis xx."

Riposi il telefono all'interno della tasca, in modo da poter analizzare ogni particolare della strada buia, notando come questa di notte fosse più pacifica e rassicurante. C'erano solo due cose di cui avevo paura: del buio e del dentista, ma amavo affrontare le mie fobie cosicché mi potessi sentire dopo più forte; per questo ogni sera passeggiavo in mezzo le strade, anche quelle più sconosciute; ero un tipo strano, lo so, ma ognuno possiede le sue teorie e poi, non ero mai solo quando i miei passi si allungavano lungo il cemento: c'era sempre il vento ad accompagnarmi, lui era il miglior ascoltatore e consigliere che avevo mai posseduto.
Passati all' incirca venti minuti, mi ritrovai dinanzi all'abitazione accogliente di Stan. Accostai la mano al campanello, prima di appoggiare il polpastrello sul pulsante piccolo e bronzato e, non dovetti aspettare molto, che ritrovai le braccia del mio ragazzo attaccate al mio collo quindi, istintivamente, avvolsi il suo torace coperto dal tessuto della maglietta con le mie braccia fragili, mormorando poco dopo con tono pacato e rilassato:

«Buonasera amore.»

Sciolsi istintivamente l'abbraccio dato che stava cominciando a diventare soffocante e appena il ragazzo premette le labbra contro le mie in un casto bacio a stampo, ricambiai il dolce gesto velocemente, rivolgendogli un sincero sorriso a labbra schiuse prima di entrare dentro la sua casa confortante, percependo la sua voce interrogativa alle mie spalle mormorare qualcosa con insicurezza:

«Uhm...il ragazzo di tua sorella dov'è?»

A quella frase scrollai le spalle, sentendo il mio cuore perdere un battito al solo suo pensiero e, deducendo fosse per il continuo senso di colpa che provavo per averlo lasciato da solo, mi rigirai verso il ragazzo cercando sicurezza e una volta che incontrai i suoi occhi azzurri, mi sentii leggermente sollevato e quindi, sapendo fossi nelle condizioni di rispondere, mormorai con tono leggermente perso:

«Gli devo semplicemente una festa perché non volevo stare con lui oggi, ma con te, Stan.»

Appena mormorai quella frase, vidi i suoi occhi brillare e mostrare un sorriso che era come tutti gli altri, senza nessun particolare, non come quello di Harry; forse era il suo modo di sorridere che mi faceva rabbrividire perché, in fondo, non aveva niente di speciale; era come tutto il resto degli altri ragazzi etero ed attraenti. Mentii a me stesso quando riflettei sul fatto che non avrei mai voluto sentire le sue labbra contro le mie, ma era il ragazzo di mia sorella ed io amavo Stan più di me stesso, era l'unico a pormi sicurezza e a farmi sentire speciale, non diverso.

«Terra chiama Louis!»

La voce dolce di Stan distrasse i miei pensieri, facendomi così scuotere la testa in modo da ritornare realmente sulla terra e posai lo sguardo sul suo volto notando quanto fosse bello e soprattutto mio. Avvicinai le mie labbra fine alle sue in modo da unirle in un dolce bacio a stampo che venne subito ricambiato ed appoggiai la fronte sulla sua, ricoperta da morbidi e lisci capelli mormorando con calma:

«Ti amo.»
«Ti amo anche io, Louis: sei l'amore della mia vita.»

A quelle parole mi limitai ad incurvare un angolo della bocca in un lieve sorriso, non riuscendo a far fuoriuscire delle parole dolci per ricambiare quella frase, sentendomi quasi bloccato ed offuscato dalla vista di soffici e profumati ricci nella mia mente. Non era possibile che la bellezza del ragazzo di mia sorella fosse rimasta così impressa nella mia testa , fino a farmi arrivare quasi ad impazzire e gli erano bastati solo due giorni, tutto ciò era da film di fantascienza.

Spazio autrice.

Salve a tutti, vorrei ringraziare tutti i lettori della storia, è veramente improtante per me. Mi dispiace di non aver aggiornato ieri ma cercherò comunque di pubblicare un nuovo capitolo ogni giorno o ogni due.

Grazie del supporto.

The boy next door.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora