DAI ANDIAMO A STOCCOLMA

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Suona il telefono, rispondo, con voce allegra Giuseppe mi saluta. Mi dice che sta organizzando una scappata in Svezia, volo Low-Cost, prezzo cento euro tutto incluso, tranne il cibo da cucinare in uno studentato. L’alloggio è gratuito, dormiremo nella stanza di sua sorella, io, lui e il nostro amico Andrea detto “Capo” o “Tigre”.
 Finalmente con i pochi soldi che ho nel budget da ventenne, posso garantirmi una vacanza di ben dodici giorni.
Chiudo, esulto, il cuore s’infiamma, sto per andare al polo. Di colpo sono diventato esploratore del mondo.
Preparo i bagagli, l’emozione è tanta. Partiamo e il volo è tranquillo, è la prima volta per me.
 Dall’alto dopo tre ore vedo l’aeroporto di un paese vicino Stoccolma; sembra uno di quelli che si vedono nei documentari su quei paesi del nord dove lavorano solo poche persone, magari per ricerca scientifica.
Niente intorno, neve per decine di chilometri.
Scendiamo, il freddo mi gela fino al midollo, - Dove cazzo sono finito? mi chiedo.
Sensazioni di libertà estrema viaggiano nella mia anima e nel mio corpo, ci troviamo ai confini del mondo, prendiamo le valigie.
Andiamo in autobus fino a Stoccolma, ai lati lungo la strada solo alberi alti quaranta metri e immensamente larghi. La strada è tutta dritta, larga, musica rock nelle cuffie, neve alta tre metri.
Arriviamo, Valentina ci aspetta alla fermata. Sono emozionalmente connesso al mondo, estrema comunicazione e disponibilità da parte di persone tipicamente nordiche.
Valentina ci avverte di fare attenzione al ghiaccio: saliamo e vedo che addirittura un passeggino è fatto salire sul bus con uno scalino mobile, mi sento benissimo.
Arriviamo allo studentato, sempre più ghiaccio e neve. Valentina ci avverte di nuovo di non buttare la spazzatura a caso se non vogliamo prendere una multa salata: qui da trent’anni c’è la raccolta differenziata che da noi si conosce solo a parole.
Un altro avvertimento e quello che l’alcool può essere comprato solo nei negozi del monopolio, massimo tre bottiglie da mettere in delle buste verdi per farsi riconoscere come bevitori. Negli anni settanta hanno avuto un serio problema con l’alcool e l’eroina, quindi ci sono norme molto restrittive.
Ultima cosa prima di entrare: se avessimo dovuto fare del sesso ci raccomanda di usare il profilattico: senza, in Svezia è stupro.
Entriamo, la temperatura sale di venti gradi, l’apertura della porta è con la tessera.
Valentina ci mostra la cucina: è piena di tutto quello che serve ed è rigorosamente in comune con tutto il piano. Ci sono inoltre una TV e un divano molto grande per rilassarsi.
Nel corridoio incontriamo la prima svedese, Anya, con un po’ di pancia ma dagli occhi grigi in cui perdersi.
Emozionati, scambiamo due chiacchiere in inglese, io mi astengo per la maggior parte.
La camera è piccola, una bandiera svedese e italiana al lato, dormiremo in dei sacchi a pelo, scomodamente per terra. Fa niente, l’importante è essere li.
Chiudo gli occhi, mi sento adulto responsabile, sono a settemila chilometri da casa, sto iniziando una nuova avventura.
La mattina mi svegliano con una birra. Capo conta le sigarette: ha una stecca di LM, è un fumatore accanito. Io ho sei pacchetti, mi basteranno.
Valentina ci confessa che nella doccia c’è un fiore di gomma che Anya dice la faccia fantasticare sessualmente.
Sbronzetti già dal mattino ci incamminiamo, compriamo l’abbonamento per dieci giorni per i mezzi.
Tutto calmo e sereno, la metro è ariosa, un museo: pulito e ordine. Tutti in fila da un lato, il destro, lasciando libero l’altro a chi ha fretta: ma quanto siamo disordinati noi italiani?
Spettacolo femminile, godimento da tutti i sensi: un universo di donne bionde disinibite dagli anni settanta mi si apre davanti.
Passeggiamo e arriviamo a un kebab, che distribuiva acqua gratis dalle brocche, succulenti i peperoni interi.
Torniamo al supermarket, non c’è niente di fresco, trovo la mozzarella e le sfoglie, si prevede una lasagna per prendere qualche ragazza per la gola.
In camera ho inoltre pasta abruzzese “De Cecco” e sugo di casa, siamo venuti attrezzati. Tipicamente italiano.
Valentina ci dice che in questi giorni andrà in facoltà, lei studia robotica.
Beviamo a più non posso dalla mattina, per combattere il freddo.
Il venerdì festa universitaria allo studentato, sbevazzate a poco, in fila mi rendo conto che questo popolo sta avanti anni luce. Beviamo, tanto. Ballo con tantissime ragazze così fighe che mai avevo visto. Spagnoli ci fottono la piazza, bassi come nani, acchiappano di brutto. Torniamo alla base, sfatti ma contenti.
Capo non aveva mai bevuto così. Quello è l’inizio alcolico della sua vita, quelle cose che partono da adolescenti.
In giro compro un piccolo “vichingo” di pietra. Poi un bicchiere per la birra con scritto il numero di calate in successione che dovevi farti per sbronzarti, scritto in svedese; un bicchierino su cui è scritto “skal” ovvero cin cin; degli gnomi e un calice che si rompe facendomi quasi tagliare.
Le strade sono riscaldate con dei tubi sotterranei per non ghiacciare, tranne queste maledette scale dove sono caduto rompendo il calice.
Capo mangia Hot Dog uno dopo l’altro e ride, in preda a felicità diffusa.
Parlare per me è molto difficile a causa della lingua, tento un primo aggancio con Anya, le facciamo vedere la carbonara.
Nella piazza principale incontriamo due che fanno sesso per protestare per il diritto alla casa, i marocchini riprendono con una videocamera, dopo dieci minuti di sesso selvaggio arriva la polizia e li porta via.
Vedo uno studente del luogo, che cucina pasta, mi metto paura, peperoni crudi in pasta bianca, scotta. Schifato.
Il giorno dopo prepariamo insieme il timballo con fare collaborativo, ottimo. Cicchetti di Centerba e crocchette di pollo con Anya, dopo: lei beve ma il liquore dei monti d’Abruzzo impressiona anche lei per quanto è forte. Io ne bevo tre uno dietro l’altro, poi esco a petto nudo - il freddo è ancora forte, gioia di vita.
Il giorno dopo, mentre vado in cucina, Anya mi ferma e dice: – You have beautiful eyes -. Io ringrazio, detto da una ragazza svedese è il massimo. Lei è cotta, ma il suo lato promiscuo la porta al giardino botanico, con un altro, rimanendo in tema di fiori.
La neve è da ogni parte. Conigli che passeggiano baldanzosi per lo studentato e musica reggae in camera. Carne d’alce, la vediamo solo, non abbiamo il coraggio di mangiarla.
Camminiamo sul mare ghiacciato, in realtà poi ci diranno che è un lago. Ci vorrebbe una vodka, è là che mi viene voglia di scrivere. Capo, già scrittore, mi ha ispirato. Vado via, ho paura che la lastra si rompa. Barboni in un angolo della strada ci riportano a casa. Il palazzo della regina è chiuso, comunque poesia dell’anima a -23°: sui ponti la barba al vento del nord gela.
Penultima serata al pub “Crazy Horse”, ci sono maggiormente ragazze minorenni, che ci guardano. Beviamo dieci birre.
Giuseppe con fare preso comincia a dire più volte: “Oh, ma ‘so Milan?” alludendo al sesso. Ci prova, si butta, dopo balli e strusciamenti fallisce. Torniamo a casa, Tigre dorme. Ultima sera discoteca commerciale, non è il nostro genere, delirio, la gente è sbronza, mai vista tanta messa così male per l’alcool; donne che urinano in strada.
Torniamo, facciamo un pupazzo di neve a forma di pene, che risate: sembra di tornare bambini.
Ripartiamo, taxi, è la prima volta anche per questo. Prendiamo l’aereo.
Rieccoci, casa.

L'UOMO/MACCHINA DA SCRIVEREDove le storie prendono vita. Scoprilo ora