CALDO MA NON TROPPO

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Non ho più di dieci euro in tasca, parto da solo: rombo di motore e una scia di smog.
Caldo afoso, è estate, una ragazza con la gonna sorride mentre le passo di fianco.
Anche io andavo a scuola per questa strada.
Mentre corro per le strade, con la musica a tutto volume, un signore che assomiglia al pizzaiolo mi fa venire una fame cosmica.
Parcheggio in doppia fila davanti al tabacchino, quello vicino al posto dove si piazzano le scommesse.
Entro, io e Marco ci salutiamo, subito una risata, compro una pizza vegetariana, costo 1.50 euro.
Osservo l’albero di fronte mentre mangio: troppo verde per essere vero.
Trentatre trentini andarono a Trento tutti e tre trotterellando, chissà che fine ha fatto Alice.
Mi appendo come una scimmia a un albero e dondolo.
Sembra meno afoso del solito, nel frattempo un vigile dalla nuca bianca come un gabbiano mi fa accostare: - Dove va, qua è divieto -, torno indietro.
Imbocco la discesa, parcheggio e vado in un altro bar.
La cassa, come bocca mangia soldi, inghiotte le ultime 3 euro per la birra. Esco.
Un silenzio che inquieta accompagna la mia passeggiata. Passo davanti allo scientifico e noto che ci sono ancora appesi dei manifesti fascisti di nostalgici del ventennio.
La scuola, che delusione, una batosta dietro l’altra, bocciato due volte di seguito, non ci hanno insegnato l’amore per i libri. Per fortuna l’avevo già imparato da solo. Poi sono andato in quei palazzi del seminario, ci passo davanti: sembra che mi giudichino, come se mentissi, ma a chi poi?
Il prof. Adelchi che strilla si riaffaccia alla finestra, debito a disegno per una puntualizzazione sul fatto che avrei meritato un voto migliore di uno che non aveva fatto il disegno e lo aveva solo abbozzato, causa assenze.
Misteri dell’arte.
Entro al parcheggio, tre ragazze mi chiedono se possono parcheggiare lì senza rimanere chiuse dentro.
La finestra all’ingresso mi ricorda il primo giorno di scuola, Perseo Alessandro indossava il cappello. Gaetani, professore di matematica, con fare dittatoriale gli impone di toglierselo urlandogli in faccia: “Sei come il racchio tubercolotico che ho sotto le scarpe!”.
L’insulto più brutto cha abbia mai sentito sulla faccia della Terra.
Più avanti il belvedere, poesia da bere.
Così trangugio l’ultimo sorso, e vedo il centro commerciale Megalò sullo sfondo che ha rovinato il paesaggio.
Più avanti la discoteca Stellario, mi chiedo come si faccia a far passare per culturale una stronzata del genere.
Sulla panchina c’è un uomo che sembra aver bevuto birra e subito mi viene in mente il mio amico “Etilico”, un nome che è tutto un programma.
Ad un certo punto il vento soffia forte, lo scorcio di paesaggio è gigantesco, luci dovunque.
Tristezza d’estate, ma allo stesso tempo gioia nel ricordare i tempi andati.
Un albero mi culla, uno con un naso enorme quasi fosse un pagliaccio mi fa sorridere.
Al campanello leggo: Di Gregorio. Come la professoressa di filosofia che con spirito compassionevole s’era stata zitta dopo che l’avevo inondata di palline di carta, e sempre in religioso silenzio s’era presa un farmaco per calmarsi.
Che bella la vita: deluso o forse no.
In fondo, eccoci qua.
La televisione almeno non mi aveva plagiato.

L'UOMO/MACCHINA DA SCRIVEREDove le storie prendono vita. Scoprilo ora