L'incontro

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"Ellen!"

Sbuffò l'insegnante.

"Dica prof."

Risposi disinteressata; tanto per usare un eufemismo.

"Un altro voto pessimo..." Appoggiò sul mio banco il compito corretto. "Quando abbiamo intenzione di cominciare a studiare? E sputa quella gomma!" Aggiunse infastidita.

Mi alzai e la squadrai un momento. Mentre mi allontanavo dal tavolo per eseguire l'ordine ricevuto, avevo un solo pensiero per la testa: 'La odio. Odio tutti. Sono solo dei finti perbenisti che si fingono premurosi semplicemente per non avere impicci. Insensibili; ecco la parola per descriverli. '

Ero ormai tornata al mio banco e la lezione stava proseguendo. Spostai lo sguardo sulle finestre alla mia sinistra. Il sole splendeva in un cielo azzurro come il mare, costellato qua e là da piccole ed insignificanti nuvolette. Un lieve vento primaverile frusciava tra i rami degli alberi ricolmi di fiori rosa e bianchi, spogliandoli un po' della loro bellezza. Una catena di montagne sovrastava la città in fermento; i suoi grattacieli e il fumo grigio delle sue case. Gli abitati spiccavano in quella visuale urbana nella quale gli arbusti erano formiche insignificanti rispetto alle grandi ville e alle fabbriche.

'Maledetta industrializzazione! '

L'avevo appena affrontata in storia e, tirandone le somme, avevo concluso che aveva portato solo disgrazie.

Nonostante tutto, la mia voglia di fuggire dall'aula prevaleva; preferivo di gran lunga uscire nell'inquinato centro della città, che rimanere lì dentro. Interruppi il filo dei miei pensieri, sapendo dove sarei finita se avessi proseguito.

Allungai le gambe e, accavallandole, toccai volontariamente la schiena del compagno davanti a me.

"Ehi."

Mi salutò con la voce di chi è appena riemerso dai suoi pensieri. Sorrisi e nel mentre lui si voltò per guardarmi, muovendo i suoi capelli neri. Cercò di non farsi vedere dalla professoressa Whitman. Quella donna mi odiava e coglieva ogni occasione per rimproverarmi come se fosse mia madre. Non capivo bene perché non le piacessi, ma ero certa del fatto che nemmeno lei fosse simpatica a me. Insomma; la persona da cui si viene umiliati viene sempre odiata almeno un po'; magari anche solo segretamente. Per esempio, il giorno prima aveva approfittato della mia assenza, leggendo ad alta voce quelli gli 'orrori' che avevo scritto nella verifica che mi aveva appena consegnato. Mi aveva derisa e umiliata. E alle mie spalle... Che vigliacca! Inoltre, il mio amico mi aveva comunicato anche che aveva detto che ero una testa di rapa, incapace di imparare anche semplicemente le tabelline, dato che avevo sbagliato alcuni calcoli.

'Dirlo a mia madre? Non avrebbe proprio senso: è così debole che nemmeno prova a sgridarmi; figuriamoci parlare ad una professoressa come la Whitman. '

Riemersi dall'odio. Dovevo distrarmi dai miei pensieri. Il ragazzo mi stava ancora guardando, incuriosito.

"Ehilà."

Proseguii la conversazione.

"Come stai?"

"Abbastanza."

"Bene o male?"

Riflettei alcuni attimi.

"Male."

"Peccato."

Nei suoi occhi azzurri si notava una nota di dispiacere sincero. Erick era un ragazzo sensibile e premuroso.

"Se ti va possiamo uscire e farci un giro in città fra i negozi."

Sorrise. Era ironico: sapeva che non ero una ragazza da città e shopping.

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