Dilaria
Non riesco a immaginare una persona più fragile di me.
Durante le lezioni di pianoforte era come se sentissi la mia anima.
Riuscivo ad ascoltarmi e a comprendermi. Sembra tutto così stupido da dire. In poche parole, erano momenti di pace: non spariva la mia vulnerabilità, ma mi sembrava più lecita. La accoglievo come si accoglie uno straniero in difficoltà in casa propria, la vedevo non più come un mostro assetato di vitalità (la mia) ma come un cucciolo di orso ferito e indifeso. Sapevo bene che quello straniero avrebbe portato guai e che quella piccola creatura sarebbe comunque diventata una bestia feroce, ma suonando il piano non mi importava più.
Quanto mi manca suonare il pianoforte...
Tornando al mio racconto, il mese di Luglio fu un vero inferno per me e per la mia famiglia. Mia madre era morta da anni e io, mio padre e i miei cugini vivevamo tutti insieme sotto il tetto di una grande casa, un tempo una florida fattoria.
Era pomeriggio e dovevo andare nel bosco con il cane Scott a raccogliere dei funghi per la cena. Quella giornata era fresca nonostante fosse estate, un vero toccasana.
Presi il cestino in vimini che mio padre era solito usare quando, anni fa, mi portava a raccogliere i fiori per la mamma, quanta gioia nei suoi occhi azzurri quando trovava sul tavolone del salotto enormi margherite, erbe aromatiche e tanti, tantissimi narcisi gialli.
Ultimamente di narcisi non vi era più traccia, il clima era stato molto secco quel mese e aveva piovuto pochissimo, e non nutrivo la speranza di essere più fortunata con i funghi.
Imboccai il sentiero e in un attimo fu come se la civiltà non esistesse più: pochi passi ed eri completamente immersa nella vegetazione, unica spettatrice della danza di infinite foglie e unica testimone di quel perfetto silenzio vivo e quasi surreale. Un vero paradiso. Mi sarei persa nella meraviglia se, di tanto in tanto, non avessi toccato la corteccia di quegli alberi solenni che, graffiandomi, mi riportava alla realtà. Nella casualità di quell'ambiente tutto era al proprio posto, dal ruscello al sassolino insignificante, dai pochi raggi di sole alla felce illuminata da essi.
Quell'aura d'incanto sarebbe svanita bruscamente.
Iniziai a trovare i primi funghi, la mia cesta si faceva sempre più pesante, e il cielo sempre più scuro. Non mi accorsi del tempo che trascorse finché i miei occhi non cominciarono a lacrimare per lo sforzo di vedere in quella crescente oscurità.
Scott, improvvisamente, cominciò ad abbaiare tremendamente forte, a guaire indemoniato. Mi girai verso di lui per capire cosa lo affliggesse, ma il suo sguardo era rivolto ad un qualcosa davanti a me che, per colpa del buio, prima non notai. Una grossa sagoma era ferma, se ne stava immobile, saranno stati 30 metri di distanza o poco più. Non fosse stato per la reazione di Scott l'avrei scambiata per il tronco di un albero, ma a quanto pareva non lo era affatto. Il cane si accucciò e i suoi occhi divennero due sfere ampie e nere, era spaventatissimo. Abbassò le orecchie e iniziò a guaire sempre più forte, sempre più disperato. Non mi avrebbe mai lasciato da sola, ma era evidente che non vedeva l'ora di andarsene. Socchiusi i miei occhi per vederci meglio, quella figura era sempre là, non si era mossa di un centimetro. Non sapevo cosa fare, le mie gambe avevano messo le radici. Con fatica alzai un piede lentamente e, indietreggiando, feci i primi passi.
Fu allora che la situazione mutò.
Quell'ombra scattò in avanti, il rumore della sua corsa frenetica sbatteva contro gli alberi e arrivava alle mie orecchie come un suono terrificante e minaccioso, i suoi passi erano esageratamente pesanti. La poca luce che era rimasta bastò a farmi distinguere un luccichio nella sua mano destra. Già, aveva un coltello, e anche bello grosso. Scott non resistette più, mi morse un polpaccio e mi costrinse a correre. L'adrenalina che avevo accumulato fino a quel momento trovò finalmente sfogo, con mio grande stupore ero più veloce del mio predatore che, rallentando, lo sentii tossire. Non per questo si fermò, anzi: sembrava ancora più agguerrito. Io e Scott arrivammo davanti a casa nostra praticamente insieme, uno più stremato dell'altro, mi fiondai dentro e chiusi tutti i lucchetti. Eravamo da soli. Corsi in camera e, tremante, mi rannicchiai in un angolo e abbracciai Scott, che sembrava più sconvolto di me.
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Nebbia e follia
Bí ẩn / Giật gânGran Bretagna, 1800. Tre ragazze di rara natura, fraintese da tutti, dominate da istinti arroganti e pensieri proibiti. Si aggirano per i boschi, per i prati, per i sentieri più isolati in cerca di pace, immerse nella nebbia e nella loro follia. ...