Capitolo 3 - Ci credi davvero? - Dilaria

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Dilaria
"Almeno qui sotto sarò al sicuro?"
Una parte di me si stava sbellicando per quel pensiero, mi sentii una povera stupida, mentre grondavo di sudore.
Pensi davvero che un paio di coperte in più fermeranno un assassino?
Erano le 2 di notte e non riuscivo a prendere sonno nonostante fossi sfinita dalla giornata. Avevo aiutato tutto il giorno i miei cugini più grandi a trasportare una gran quantità di frutta e verdura per il loro negozio. In ogni caso, non c'era modo perché io mi addormentassi. Appena chiudevo gli occhi sentivo dei passi avvicinarsi, due occhi spettrali che mi osservavano compiaciuti, nel buio. Accendevo un fiammifero convinta di vederlo, quel mostro, ma lui scompariva sempre in quell' istante. Ogni volta sgranavo gli occhi, mi sembrava di scorgere gli ultimi frammenti della sua sagoma che si dileguavano nel nulla.
Sta aspettando che ti addormenti, non uscirà mai allo scoperto se sa che sei sveglia.
Mentre la camera era illuminata, non sentivo nulla. Un silenzio così cupo, una quiete surreale, non sentivo nemmeno il mio respiro, ma ecco che appena tornava l'oscurità... ticchettii fruscii cigolii in continuazione.
Ne ero convinta: quello schifo di essere si stava divertendo, mi stava facendo crescere poco a poco la paura per poi sferrare il colpo di grazia al momento giusto. Già me lo immaginavo, mi avrebbe afferrata per il collo fissando i miei occhi, eccitato, per vedere come il terrore avrebbe lasciato il posto alla disperazione, poi al panico più totale e, infine, al vuoto più assoluto.
Dicono che il fascino della morte stia ancora meglio su chi ha gli occhi azzurri. Rabbrividii.

La mia stanza era piccolina, le tende chiuse in modo grossolano lasciavano passare pochi raggi di luna che conferivano alla camera un' atmosfera argentea, quasi incantata.

Rigirandomi nel letto mi fermai a osservare la piantina che avevo sul davanzale, secca e triste. Se l'avessi bagnata di più, se solo mi fossi presa più cura di quella piccola creatura, in quel momento magari mi sarei sentita meno sola e meno in pericolo.

La mia testa mi riportò alla realtà.
Ti stai distraendo, stai in guardia, un assassino sa essere paziente.
Sa che prima o poi ti addormenterai, aspetta solo quel momento.
Sarai nelle avvolgenti braccia di Morfeo e ti sentirai al sicuro, tanto da non volerti svegliare più.
Lui si avvicinerà lentamente, quanto si ecciterà nel vederti dormire, indifesa.

Il mio cuore stava accelerando sempre di più, era l'unico suono davvero reale in quella stanza, oltre al mio respiro affannoso. Cercavo inutilmente di scacciare dalla mente quei pensieri, quelle voci che non mi facevano dormire, perché in fondo una piccola e insignificante parte di me sapeva benissimo che non c'era nessuno in quella stanza. Più mi convincevo di essere sola, più mi chiedevo se lo ero veramente, un assurdo e frustrante circolo vizioso.
Devo dormire, ora basta.
Mi sforzai di prendere sonno, ci stavo quasi riuscendo.
Tac... tac... tac...
Giuro su Dio che avevo sentito dei suoni chiaramente, nitidamente, e molto vicino a me.
Lui si stava avvicinando al letto, erano passi quelli, erano davvero passi!

Pensava mi fossi addormentata, ma come faceva a vedermi?

Impugnai il coltello che tenevo sempre sotto il cuscino, aspettai qualche attimo che sembrò un'eternità, avevo l'adrenalina al massimo, il cuore come un tamburo. Ormai era vicinissimo, forse si era chinato, sentivo il suo respiro, il suo alito. Serrai gli occhi pronta ad affondare la lama nella sua gola.
Mi sembrava impossibile. Tutto una finzione, un sogno, tutto solo fantasia. Ciò che ogni sera immaginavo e temevo stava accadendo sul serio. Era molto più terrificante di come me lo aspettavo, in quel momento ero convinta che la mia vita fosse davvero in pericolo.
Sentii che lui era a pochi centimetri, a pochi millimetri da me tanto da percepire il rumore delle sue palpebre che si chiudevano, lentamente. Mi stava fissando da così vicino, doveva essere un pervertito, uno di quei maniaci inquietanti, magari con gli occhi da pazzo e con il sorriso ampio e compatto.
Ci fu silenzio, un brevissimo silenzio durante il quale pensai di essere già morta, o magari svenuta dalla paura, perché non sentivo niente, la mia testa era in un tunnel e non riuscivo ad aprire gli occhi.
L'angoscia stava prendendo il sopravvento, di lì a breve mi sarei messa ad urlare.
Poi, all'improvviso, una vocina. Una vocina così stridula e insopportabile, una vocina colma di perfidia, così vicina a me, un sussurro, una risatina.
Ci sei cascata di nuovo.
Come risvegliata, accesi l'ennesimo fiammifero in fretta e furia pronta a colpire chiunque ci fosse stato in quella stanza, qualsiasi cosa ci fosse stata davanti a me.
Mi spiace deludervi, ma la stanza, naturalmente, era vuota.
Era solo un sogno, cretina, come tutte le altre volte, possibile che non lo capisci?
Mi guardai le mani che erano diventate rosse e stranamente ossute, tremanti e sudate, che tenevano strette quel pugnale.

Solo una smaniosa paura del buio penserete voi, ma quella fobia incontrollabile mi portò a compiere un'azione peccaminosa che mi torna alla mente ancora adesso, di notte, sotto forma di incubi che non vi racconterò mai.

Nebbia e folliaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora