Chapter 2🥂

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Il mondo essenzialmente si divide in due categorie: chi alla meravigliosa, nonché per niente ricorrente, domanda, del numero mensile di San Valentino di Vanity Fair, 'Quale è la prima cosa che noti in un uomo?'' risponde un falsissimo: ''il carattere.'', consapevole che non è nemmeno nella top 10, e chi non si scomoda nemmeno di provare a mentire.
Ecco, io sono Ella Johnson e non ho intenzione di mentirvi.
Sul serio, parliamone: c'è davvero qualcuno che riesce ad andare oltre l'aspetto fisico?
Perché, andiamo, cerchiamo di essere onesti: ci sono caratteristiche fisiche che proprio fanno perdere la testa. Ovviamente è personale ma, un esempio? Le mani da pianista.
Le spalle larghe.
Il leggero segno degli addominali attraverso la camicia.
Gli occhi azzurri.
Fa caldo qui o sono solo io?

Apro gli occhi quando sono già sul pavimento spostando il mio sguardo frustato e pieno di ira su colui che mi ha fatto cadere.
Un ragazzo biondo, nelle vesti di un avvenente Giove, re degli dei, con tanto di faretra e arco, si gira verso la mia figura stesa sul pavimento. Nonostante io possa riconoscere i suoi capelli biondo grano, ha una maschera che gli copre metà del volto, completamente nera, da cui spuntano due occhi del colore dell'oceano.

In ogni caso, a parte gli scherzi, purtroppo è la verità: certi tratti fisici fanno decisamente perdere la testa.

Dopo che la scintilla di infinito, tra l'incontro del mio sguardo col suo, scade e il ragazzo si rigira, poiché richiamato da un suo amico al di là della pista, mi accorgo di essere ancora sul pavimento e affermando: <<Che maleducazione.>> mi rialzo dal pavimento, cercando di ritrovare il mio precario equilibrio sui trampoli che, stupidamente, ho deciso di indossare stasera.
Una volta ritrovato l'equilibrio, con le mani scaccio via la polvere dal mio vestito, imprecando contro il Mr.Darcy della situazione. Se non che Elizabeth non abbia mai fatto un volo da 10cm di scarpe col tacco però.
Jane Austen, potevi impegnarti di più.
Affermo sottovoce: <<Gli occhi azzurri se li beccano sempre chi se li merita di meno.>> tra me e me, appurando che ho decisamente bisogno di un altro drink.
Comincio a muovermi attraverso la pista, puntando all'open bar, rivelando un leggero fastidio al piede sinistro, segno che devo aver preso una storta cadendo.
Come si suol dire: la fortuna gira.
Alla larga da me però.
Una volta seduta al bancone, con un sospiro di sollievo, ordino il mio solito ''Qualcosa di dolce'' al barista che, dopo aver provato, senza risultati, ad attaccare bottone con me, decide di concentrarsi sulla mia ordinazione e tornare al suo lavoro. Il mio sguardo si posa sulla targhetta sul grembiule nero del ragazzo.
Chi può essere così disperato da provarci con una sconosciuta ad un bancone?
James.
Se mai dovessi innamorarmi di uno così, per favore qualcuno mi rinsanisca con una sprangata bella forte sui denti.
Una volta avuto il mio drink e aver rifiutato per l'ennesima volta l'insistente nonché imbarazzante barista, tiro un sospiro di sollievo, potendo avere finalmente un po' di tempo per me e la mia anima gemella:
l'alcool.
Ma prima che io possa prendere anche solo un sorso del mio amato drink mi accorgo con la coda dell'occhio di come tutti i presenti si siano girati tutti verso un punto preciso del terrazzo, quasi in religioso silenzio, così cerco con lo sguardo l'oggetto della loro attenzione.
Dopo un'occhiata veloce riesco ad inquadrare il motivo di tale silenzio improvviso, che mi fa rimanere leggermente di stucco. Nonostante non ci sia nessuno vicino alla console, una voce robotica, che sembra non esser altro che una voce umana modificata, sta facendo un discorso.
<<Qui parla Gatsby, fatti sentire Saint Lorence.>> Un applauso parte dalla folla riunita attorno alla console con i calici di champagne in mano. <<Sono davvero felice che siate tutti qui stasera. Vi state divertendo naturalmente, dico bene?>>
Prima che possa partire il secondo applauso mi alzo dal bancone, scocciata della presunzione di un tipo che ha organizzato la festa che ho passato per lo più per terra, e mi dirigo verso l'uscita. Per oggi ne ho avuto abbastanza di feste scadenti.
<<Applaudirete a tutto quello che dirò?>> chiede la voce registrata ridendo.
Un altro applauso.
<<Okay okay.>> sghignazza colui che dovrebbe essere il misterioso Gatsby. <<Vorrei proporre un brindisi. Mi rattrista davvero informarvi che questo sarà il mio ultimo anno in questa scuola, il che significa anche che sarà l'ultimo anno in cui potrò rendere i vostri weekend speciali con le mie feste. C'è anche una buona notizia però: poiché è il mio ultimo anno, ho intenzione di organizzare una festa d'addio che posso asscuravi non dimenticherete. Racconterete di questa festa ai vostri figli e ai vostri nipoti, ve lo assicuro. E grazie a voi, anche quando sarò andato via, il mio ricordo continuerà a vivere attraverso di voi.>>
Arrivata finalmente alla porta di uscita, facendomi spazio tra gente ubriaca fradicia e coppie impegnate ad esplorarsi le reciproche gole, rientro nell'istituto con un sospiro di sollievo.
<< Per cui, questo brindisi lo dedico a voi, che avete contribuito a rendere questi anni speciali.>>
Scendo lentamente le scale per tornare al piano dei dormitori, sentendo ancora l'eco della voce di Gatsby. Sono immersa nei miei pensieri riguardo questa orribile serata quando qualcosa attira la mia attenzione.
Seduto sulle scale con un microfono wireless e un telefonino con una diretta del terrazzo, vedo il ragazzo vestito da Re degli Dei che mi ha urtato prima facendomi cadere dritta sul pavimento.
<<Senza il vostro supporto non sarei arrivato dove sono ora.>>
Quando si accorge della mia presenza, termina velocemente il suo discorso, mostrandosi come un misto tra l'impanicato e il confuso.
Mi fermo rimanendo leggermente di stucco mentre il ragazzo posa il cellulare e l'auricolare, alzandosi di scatto e guardandomi sorpreso.
<<Sei tu Gatsby.>> realizzo sbarrando gli occhi, guardando dritto in quelli color ghiaccio del biondo.
Disappointed but not surprised, devo dire.
Mr.Darcy che si scopre essere l'organizzatore segreto, nonché estremamente megalomane, delle feste più in voga nel campus.
Ma viviamo in un cliché?
<<Cazzo.>>
Apro la bocca per proferire uno dei miei soliti commenti stupidi in funzione di tale argomento (ho sempre avuto un talento per sdrammatizzare), ma prima che possa uscirmi un suono, un gruppo confuso di persone che corrono in maniera scomposta seguita da un grido: <<Arriva il preside!>>, ci fa voltare entrambi verso la tromba delle scale e realizziamo che è questione di qualche minuto prima che si avveri una di queste due sfortunate prospettive: essere beccati in pieno dal preside e dai sorveglianti, che non hanno mai avuto un aria dolce né una corporatura che li possa far sembrare innocui; oppure essere travolti in pieno dalla mandria di ragazzi sudati intenti a scappare correndo a rotta di collo.
<<Cazzo.>>
Il ragazzo si alza di scatto per poi afferrarmi il polso destro e cominciare a scendere le scale più velocemente possibile, mentre io cerco di seguirlo mantenendo il suo stesso passo seppur difficilmente a causa dei tacchi vertiginosi che indosso.
La paura fa miracoli.
<<Ehi voi, stupidi ragazzini, cosa ci fate in giro a quest'ora?>>. La voce di un uomo sulla cinquantina, che sembra decisamente odiare il suo lavoro, ci coglie di sorpresa. Immagino che si tratti del guardiano notturno.
Sento il cuore battere a mille: sono troppo vecchia per tutte queste emozioni e per tutta questa attività fisica.
Arrivati in uno dei corridoi secondari, il ragazzo comincia ad accelerare, mentre sentiamo distintamente i passi del guardiano alle nostre spalle, finché non arriva di fronte all'ultima porta a destra di un corridoio semi deserto, aprendola e, con la delicatezza che decisamente non ha, spingendomi all'interno.
<<MA CHE CA->>
Prima che possa lanciare un'altra imprecazione sento la porta chiudersi alle spalle del ragazzo, che vi si appoggia contro, chiudendo a chiave e tendendo l'orecchio, e poggiando la sua mano destra sulla mia bocca mimandomi di fare silenzio. Infastidita, mi guardo intorno, accorgendomi di essere finita in una sorta di sgabuzzino, poi tendo anche io l'orecchio cercando di captare qualcosa.
Sentiamo dei passi veloci superare la porta, facendosi via via più lontani, e qualcuno borbottare: <<Io me lo meritavo di nascere ricco.>>, ornato di imprecazioni talmente particolari da stupire perfino uno scaricatore di porto mancato come me.
Che la forza sia con te, maestro Yoda.
Mi sbarazzo della sua mano, infastidita.
<<Oh cazzo.>> affermo con un sospiro di sollievo, riprendendo fiato dalla corsa, dopo esserci assicurati di essere rimasti soli.
<<C'è mancato pochissimo stavolta.>> ribatte il biondo appoggiandosi con la schiena alla porta e tirando un sospiro di sollievo.
<<Beh, pure tu però non sei poi così sveglio.>> rispondo guardando il ragazzo riprendere lentamente fiato. <<Hai organizzato una festa sul terrazzo della scuola, era quasi impossibile che non vi beccassero.>>
Il biondo apre la bocca per ribattere ma, dopo averci pensato su qualche secondo, finisce per fare spallucce e affermare semplicemente: <<A mia discolpa, sapevo benissimo che sarebbe potuto succedere ma non me ne sono fregato neanche un po'.>>
Rimango interdetta e confusa dalla risposta incredibilmente stupida del ragazzo, che mi spinge a domandarmi come sia riuscito a sopravvivere fino ad oggi. <<Ma questo non è un attenuante, è un'ammissione di colpa.>>
Volete farmi credere che questo soggetto è il fantomatico Gatsby?
Il ragazzo mi guarda più confuso di prima, pensando alla mia risposta, probabilmente cercando di capirne il senso.
Dopo un bel po' di minuti ad aspettare che Einstein abbia l'illuminazione, alzo gli occhi al cielo e affermo: <<Carissimo Gatsby, devo proprio dirlo: sei incredibilmente deludente.>> per poi avvicinare la mano alla maniglia del ripostiglio per poter ritornare, meritatamente devo dire, al mio dormitorio e finalmente far finire questa orribile serata.
Per oggi ho avuto la mia fin troppo abbondante porzione di fish and chips.
<<Aspetta.>>
Prima che io possa uscire da quello sgabuzzino, il biondo mi riporta dentro, richiudendo una seconda volta la porta e facendomi emettere un gridolino di sorpresa.
Fin troppo irritata dal Leonardo Di Caprio dei poveri che ho davanti chiedo seccata: <<Che c'è? >> cercando di trasmettergli tutto l'odio e il fastidio che queste brutte copie dei personaggi di Downtown Abbey presenti in questa scuola e in questa nazione mi stanno provocando.
<<Dobbiamo chiarire una cosa.>> risponde guardandomi con una serietà quasi comica. <<Ciò che è successo oggi deve rimanere tra noi. Sai troppe cose.>>
Rimango un attimo confusa e non capisco se davvero il tipo che si è parato tra me e la porta stia facendo sul serio, avvertendo uno strano istinto primordiale che mi incita a prenderlo in giro fino a fargli sanguinare l'anima. <<Davvero, Agente J?>> ribatto alzando gli occhi al cielo.
<<''Sai troppe cose''.>> lo imito rendendo la mia voce più gutturale e con un tono più stolto (ci tengo alla realisticità delle mie esibizioni).
<<Che cazzo, ma siamo in Men in Black?>>
Il ragazzo inclina la testa all'indietro sbuffando sonoramente. <<Sto dicendo sul serio...>> lascia la frase incompleta aspettando che io mi presenti.
<<Ella.>> rispondo, lasciando trapelare il mio fastidio e incrociando le braccia al petto. <<Ella Johnson.>>
Non appena sente il mio cognome il ragazzo cambia espressione per poi affermare: <<Ah, tu sei l'americana.>> con un tono che è simile al mio quando mi ritrovo a parlare degli altri studenti di questo istituto.
La sentite nell'aria? La sacra faida tra inglesi e americani. Una cosa pulita: Hamburger vs Fish and Chips.
<<E tu sei uno dei mangia-pudding.>>
<<Mi chiamo Corbyn.>> sbuffa il ragazzo, offeso probabilmente per il soprannome.
Ci guardiamo per qualche secondo con circospezione finchè non è nuovamente lui a rompere il silenzio dicendo: <<Si ma io dico sul serio, Gatsby deve rimanere segreto. Nessuno conosce la vera identità di Gatsby e le cose devono continuare così.>>
<<Sinceramente con la tua furbizia, versione britannica di Arsenio Lupin dei miei stivali, mi stupisco che io sia la prima da cui tu ti sia fatto scoprire.>> ribatto alzando gli occhi al cielo per il tono usato dal biondo, che a quanto pare si chiama Corbyn.
<<Non sto scherzando americana, dammi un cenno di assenso per favore.>> risponde sbuffando il biondo non togliendomi lo sguardo di dosso.
Scocciata dal suo tono e dal suo modo di fare lo squadro dalla testa ai piedi con fare superiore per poi affermare trionfante: <<Ascoltami un po' Mr.Bean: tu non mi piaci per niente. Il tuo tono, il tuo atteggiamento, il tuo visino da angelo mancato. Sei solo il solito clichè mancato e io odio i tipi come te. Ed è una cosa strettamente personale, sappilo. È scritto nel mio DNA il mio odio verso quelli come te, un odio che si protae da generazioni a generazioni. Quindi puoi star certo che non mi importa nulla dei tuoi segreti o delle stupide festicciole che ti diletti ad organizzare solo per sentirti potente, come se fossi il re della giungla. Con tutta la sincerità di cui sono capace, non me ne frega un cazzo, John Smith.>>
Detto questo afferro la maniglia della porta prima che il biondino possa mettere insieme due parole per controbattere e vado via lasciandolo da solo.
Non c'è spazio per tutti in quello sgabuzzino: il suo ego spropositato già basta per riempirlo.

Tender Curiosity//Why Don't WeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora