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Picchietto la penna nera sul mio bloc-notes a quadretti, porto lo sguardo sulla scena davanti a me e poi lo riporto sul contenuto del mio foglio scarso di scritte.

Il principino di Montecarlo sta seduto sul lettino bianco dell'ambulatorio, con le gambe a penzoloni, mentre il dottor Lodges gli muove con estrema cura e delicatezza il ginocchio destro.

Non l'ho mai visto tanto attento e delicato con nessun paziente prima. E io che pensavo che i pazienti fossero tutti uguali, che illusa.

Certo, ogni paziente ha le proprie esigenze e richiede più o meno delicatezza a seconda del caso, ma nessuno richiede un trattamento con guanti di velluto rosso.

A quanto pare, però, mi sbagliavo.

Sbuffo: odio starmene con le mani in mano a guardare, senza mai poter prendere parte all'azione.

«C'è qualche problema?», chiede il dottor Lodges, voltandosi leggermente verso di me, quanto basta per farmi capire a chi fosse rivolta la domanda e per lanciarmi un'occhiata ammonitrice.

Odio questa situazione, ma odio ancor di più mettermi nei guai, per cui mi affretto a scuotere la testa.

«No, certo che no».

«Bene, puoi andarmi a prendere un caffè allora?», chiede voltandosi nuovamente verso il ginocchio del pilota.

Roteo gli occhi, il che fa spuntare un lieve sorriso sulle labbra del principino di Montecarlo, per poi alzarmi e dirigermi verso la porta.

«Signor Leclerc, gradisce qualcosa da bere?», chiede con tono stucchevole Lodges.

Che schifo. Rischio di vomitare la colazione e il pranzo di tutta la scorsa settimana.

Lui scuote la testa, così esco dall'ambulatorio e mi chiudo la porta alle spalle.

Cammino fino alla macchinetta del caffè, posta appena dietro l'angolo della sala d'aspetto, dove vedo il signor Miller che attende pazientemente il suo turno per essere visitato da Lodges e sostenere la sua seduta di terapia settimanale.

Guardo l'orologio che è appeso al muro: è in ritardo di venti minuti.

Mentre posiziono un bicchierino di carta nella macchinetta e la aziono, vengo interpellata dalla segretaria, che mi implora di convincere il mio tutor a visitare il signor Miller prima che perda la pazienza. Cosa che io, tra l'altro, avrei già perso diciannove minuti fa se fossi stata al suo posto.

Annuisco prima di afferrare il bicchierino di carta ora fumante e dirigersi verso l'ambulatorio di Lodges, che porta di scatto lo sguardo su di me non appena apro la porta, come se mi stesse aspettando.

«Karen mi ha chiamato circa quattordici volte negli ultimi cinque minuti per ricordarmi dell'appuntamento col signor Miller», mi informa con fare scocciato non appena rientro nell'ambulatorio. Ora capisco tutta questa impazienza. Afferra la tazzina di caffè dalle mie mani e si precipita verso la porta, il che mi fa sorridere.

Karen è un pezzo grosso. Anzi, Karen è il pezzo grosso qui dentro. Persino un dottore sicuro di sé come Lodges è terrorizzato dalla direttrice, il che la dice lunga sul suo conto, ma non posso lamentarmi: non avevo idea di come poterlo convincere a sospendere la visita del suo nuovo idolo, ma ci ha pensato lei per me.

«Dobbiamo fargli dei raggi per escludere qualsiasi tipo di trauma e fargli un'ecografia per controllare che non ci siano fratture minime», aggiunge Lodges, e io annuisco. «Al momento le attrezzature sono tutte impegnate, quindi vado dal signor Miller e torno appena possibile. Abbiamo la massima urgenza, quindi nel caso si liberino prima del mio rientro, ti occuperai tu dei raggi del signor Leclerc», mi spiega sorridendo, con tono sicuro nella voce, come se fosse una cosa normale e io avessi chissà quale esperienza nel campo.

Rise Up || Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora