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Se c'è qualcosa che ho sempre amato particolarmente, questa è la sensazione di infilarsi il pigiama, non appena rientrata a casa dopo una giornata passata fuori. Se poi la giornata in questione è pure stata lunga, faticosa, o entrambe le cose insieme, si tratta proprio di una sensazione talmente piacevole da non poter essere descritta a parole.

Togliendomi i vestiti, è come se scacciassi dalla mia pelle tutti i malumori della giornata, tutti i pensieri, tutto quello che è successo e che vorrei allontanare almeno fino al giorno dopo. Certo, non sempre questo mi riesce a pieno, spesso ciò che cerco di tenere lontano mi viene a far visita nel bel mezzo della notte, rendendomi difficile, se non impossibile, dormire.

Ma, tralasciando le effettive realizzazioni dei miei obiettivi, quando tolgo i vestiti e infilo il pigiama, mi sembra davvero che ogni problema si volatilizzi nel nulla. Il pigiama mi dona un senso di pace che nemmeno vedere Hamilton classificarsi fuori dalla zona punti sa darmi.

È sempre stato così.

Era così a quattro anni, quando litigavo con la mia amica della casa di fronte. Era così a sei, quando faticavo a leggere ad alta voce e i compagni di classe mi prendevano in giro. Era così a otto, quando le mie compagne di classe non mi invitavano alle feste di compleanno perché preferivo "i giochi da maschio". Era così a dodici, quando mi vergognavo del mio corpo che iniziava a cambiare. Era così a quindici, quando proprio non riuscivo a ottenere una misera sufficienza in matematica. Era così a sedici, quando quell'infortunio mi ha dato il tormento per mesi. Era così a diciotto, dopo ogni litigio col mio primo ragazzo. E, adesso, è così a venti, quando un paziente della clinica in cui nemmeno lavoro, ma in cui faccio solamente un semplice tirocinio, decide di rendere la mia pratica per il prossimo esame un incubo.

In seguito al mio infortunio e anche grazie agli studi che ho intrapreso all'università, ho capito bene che il paziente tipico del fisioterapista non è un paziente facile da trattare. Avrà spesso dei malumori, delle insicurezze, si sentirà demoralizzato dalla situazione e dai lievi miglioramenti che sembrano non bastare mai. Ma, soprattutto, alle volte può cambiare umore e idea con la stessa rapidità con cui quel bastardo di Hamilton sfreccia al via di pressoché ogni Gran Premio da qualche anno a questa parte.

Ma mai, e dico mai, avrei pensato che un paziente potesse essere tanto irascibile e imprevedibile. Ma quando si tratta di Charles Leclerc, ormai dovrei averlo capito, niente è prevedibile.

E così, adesso che finalmente indosso il pigiama, posso tirare un sospiro di sollievo. Ma è un sospiro a metà, che rimane sospeso, perché interrotto dal mio computer che emette il suono di una notifica.

Prima di infilare il pigiama, ho aperto Facebook per guardare un video che mi ha inoltrato Michelle, la mia amica della casa di fronte - sì, quella con cui litigavo così spesso a quattro anni alla fine si è rivelata una buona amica ed è rimasta per tutti questi anni accanto a me.
Si tratterà di Facebook quindi, suppongo, e la mia intuizione viene confermata quando mi avvicino al computer e osservo lo schermo.

Hai una nuova richiesta di amicizia: Charles Leclerc.

Corrugo automaticamente la fronte nel vedere questa notifica: come ha fatto a trovarmi? E perché vuole aggiungermi alla sua lista di amici?

Giusto qualche ora fa mi stava urlando contro in clinica, e adesso vuole spiarmi su un social network?

Resto a osservare per un po' la sua richiesta, indecisa sul da farsi. Potrebbe benissimo essere un tentativo di catfish e io non voglio essere l'ennesima ragazza ingenua che comparirà sul celebre programma di MTV. Decido quindi di dare un'occhiata al suo profilo, sembra reale. Ma ciò che mi rincuora maggiormente è la data di iscrizione al social network, precedente di parecchio alla sua fama.

Rise Up || Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora