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«Fermami se ti faccio male, mi raccomando».

«Mi fai male».

«Charles?».

«Mh?».

«Non ti sto ancora toccando», dico alzando le mani come a dargli prova di ciò che in realtà è evidente.

Lui fa un gesto con la mano, per poi accennare a una risata nervosa e irrigidirsi visibilmente, stringendo le nocche allo stretto materasso del lettino dell'ambulatorio.

«Certo... io... io stavo solo controllando se eri attenta».

«Certo, e io sono la sorella illegittima di quella fighetta di Hamilton», replico alzando gli occhi, ma senza perdermi un suo sorriso divertito. «Ora, se hai finito di fartela sotto, possiamo iniziare?».

Leclerc annuisce, il che mi dà il via libero per afferrargli con delicatezza la tibia e muoverla leggermente, con lentezza, per vedere fino a che punto riesce a piegarsi il ginocchio. La sua mano scatta veloce sul mio avambraccio, stringendolo con forza, il che mi fa sorridere: lo facevo sempre anche io.

Continuo a muovere lentamente la sua gamba, fino a quando non sento un gemito di dolore lasciare le sue labbra e, quando alzo gli occhi sul suo viso, lo trovo con gli occhi stretti in una smorfia di dolore e il labbro inferiore tra i denti.

«Ti avevo detto di avvisarmi», lo ammonisco, ma lui scrolla le spalle, rilassando immediatamente il volto.

«Non mi hai fatto male», si giustifica con tutta la naturalezza del mondo, come se io fossi talmente ingenua da credergli e abbastanza cieca da non aver visto la sua espressione di pochi attimi fa.

«Sì, certo, quindi quel gemito era dovuto a un orgasmo da visita medica e non al dolore», mi lascio scappare, sarcastica, pentendomene immediatamente dopo.

Forse dovrei dimenticarmi del fatto che sia un mio coetaneo e cercare di tenere a mente che è un "mio" paziente. Ma ormai il danno è fatto, i suoi occhi sono sbarrati e le sue guance evidentemente arrossate.

«Io non...», inizia a dire, balbettando, e io decido di giocarmi il tutto per tutto, tanto ormai il mio numero disastroso l'ho combinato, quindi lo interrompo.

«Tranquillo, Charles, io non ti giudico», dico quindi, scrollando le spalle e riportando le mani sulla sua gamba. «Ognuno ha i suoi gusti del resto, chi sono io per criticare i tuoi?», concludo scoccandogli un occhiolino scherzoso che lo fa scoppiare a ridere.

Sorrido, sinceramente sollevata: ho ottenuto l'obiettivo sperato.

***

Porgo un paio di stampelle al pilota, che le afferra con fare sconsolato, guardandole come io guardo le verdure bollite che mia mamma si ostina a obbligarmi a mangiare.

«Mi dispiace Charles», mormoro e lui annuisce debolmente, posando il peso sulle stampelle nel tentativo di fare un passo, ma fallendo miseramente.

Sorrido davanti a quanto questo ragazzo è goffo e scoordinato con le stampelle, mi ricorda me.

«È tutta pratica, non ti preoccupare», cerco di incoraggiarlo, non appena noto che il suo sguardo scoraggiato non intende lasciare il suo viso.

Mi ricorda sempre di più come ero io, il giorno in cui mi sono trovata a usare un paio di stampelle, consapevole che da quel giorno tutto sarebbe cambiato. Tuttavia, questo non è il suo caso, perché tornerà in forma e potrà ricominciare a correre prima di quanto possa pensare. Ne sono certa, e finché sarà qua, farò del mio meglio perché questo accada.

Rise Up || Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora