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Socchiudo leggermente gli occhi, a dir poco infastiditi dalla luce che entra dalla finestra schiantandosi sul mio volto e impedendomi di continuare a dormire. Di solito mi accerto di aver chiuso le tende prima di andare a dormire, perché la minima luce mi induce a svegliarmi e, quando accade, non riesco più a recuperare il sonno fino alla sera. Eppure, ieri sera devo essermene dimenticata presa come ero dalle emozioni contrastanti del pomeriggio passato con Charles Leclerc.

Un pomeriggio tutto fuorché ordinario, oserei dire. Per una banalissima studentessa universitaria inglese che passa la sua vita a studiare o a lezione, passare un pomeriggio attaccata alla PlayStation sfidando niente di meno che il nuovo pilota della propria scuderia di Formula 1 del cuore, è un evento più unico che raro. Eppure, per quanto irrazionale possa essere, gran parte di me desidera fortemente che non sia stata solo un'occasione a sé stante.

Mi trovo bene con Charles, riesce a non farmi sentire come una ragazza qualunque accanto a un pilota di Formula 1 che viaggia in giro per il mondo più frequentemente di quanto io esca di casa. O almeno, ci riesce il più delle volte, ossia quando non si fa prendere dal suo essere tremendamente lunatico o dalle sue manie di egocentrismo. Devo ammettere, tuttavia, che nell'ultimo periodo questi lati negativi del suo carattere si sono manifestati molto meno rispetto a quanto mi aveva abituata, e i nostri battibecchi si sono ridotti fino a quasi scomparire.

Non a caso, è stato un pomeriggio a dir poco piacevole, sebbene piuttosto imbarazzante a più riprese. Del resto, come ci si comporta nella stanza di albergo di un ragazzo che hai baciato più volte, tu e lui da soli? Soprattutto soli, seduti sullo stesso letto a meno di un metro di distanza, presi da una sfida prolungatasi per ore. E tutti lo sanno che la competizione fa aumentare a dismisura la tensione sessuale.

E io, la fredda e razionale ragazza qualunque, mi sentivo attratta da lui come un magnete. Mascherare quelle non del tutto nuove situazioni è stato un lavoro davvero duro, ma mi ha consolato vedere che anche per lui non sia stato poi così semplice, tanto che diverse volte la sua mano si è posata sulla mia coscia e altrettante volte ha portato il suo viso a una vicinanza fin troppo elevata alla mia. Non so di preciso quali siano gli standard di vicinanza facciale accettabili tra due persone non in una relazione, ma sono piuttosto certa che sentire il respiro reciproco sulla propria pelle non rientri nei limiti della normalità.

Non che abbiamo mai avuto un gran senso del limite io e lui, a partire dai confini paziente-medico che non siamo mai stati in grado di rispettare, e arrivando ai limiti di decenza oltre cui prolungare una sfida alla PlayStation diventa patetico, tanto che ricordo di aver giocato con lui fino a quando non è diventato buio, e nemmeno ci eravamo accorti che fosse tramontato il sole.

"Ma che ore sono?", gli ho chiesto quindi, confusa.

È incredibile come sia passato il tempo ieri pomeriggio, ma soprattutto come nessuno dei due se ne sia accorto.

Lui ha alzato le spalle, per poi stendersi sul letto in modo da raggiungere il telefono sul comodino e comunicarmi l'orario. E ricordo ancora quanto sia stato complicato non soffermarmi troppo sulla sua schiena lasciata nuda dalla maglietta che si era spostata a causa del suo movimento. È possibile essere affascinati a tal punto da una persona da trovare attraente persino una porzione della sua schiena nuda?

"Le 21:47", ha risposto con tutta la tranquillità del mondo, come se fosse normale che alle dieci di sera io mi trovassi ancora nella sua stanza e non a casa mia.

"Cristo", ho imprecato scattando in piedi per recuperare le scarpe. "Avrei dovuto essere a casa per cena due ore fa".

L'ho osservato con la coda dell'occhio nel sentirlo ridacchiare mentre allacciavo una scarpa, e lui non ha smesso, per niente intimorito dalla mia occhiataccia.

"Come ti piace la pizza?", mi ha chiesto poi, confondendomi.

A cosa diavolo gli serve sapere come mi piace la pizza?, ho pensato, e lui deve averlo capito perché ha risposto a quella domanda che non aveva mai lasciato la mia bocca.

"Io prendo una salsiccia e funghi, tu come la vuoi?", ha chiesto con grande nonchalance, come se tutto questo fosse completamente normale.

"Charles, devo tornare a casa".

Ha scosso la testa. "Non ti lascio tornare a casa da sola a quest'ora".

"Potresti accompagnarmi".

"Potrei, ma il mio fisioterapista mi ha proibito qualsiasi spostamento diverso da quelli per raggiungere la clinica", ha detto con tono saccente, rinfacciandomi le mie stesse indicazioni.

Lo odio quando fa così, ma al tempo stesso mi fa pendere dannatamente dalle sue labbra. Mi piace quando qualcuno mi tiene testa, ma mi manda anche in bestia il più delle volte, e con Charles sono sempre in bilico sulla la sottile linea che divide le due cose. Mi sento sempre come se stessi camminando su un filo di spago e sotto di me ci fosse una caduta libera di centinaia di metri che termina con una vasca gremita di squali. Ma, stranamente viste le mie vertigini, questa sensazione mi piace. E non poco.

"Puoi fare un'eccezione?".

"E mi raccomando francesino dei miei stivali, niente eccezioni, per nessun motivo", ha poi fatto il verso alle mie parole di appena una settimana prima, il che mi ha finalmente strappato una risata.

Sì, decisamente il suo modo di fare mi piace, anche se a volte gli staccherei la testa a morsi.

"Sono io la tua fisioterapista, e ti dico che puoi farlo".

"Non vedo nessun camice, Noelle", ha sorriso beffardo. "Vedo soltanto una ragazza molto speciale con cui mi piace passare il tempo, non c'è nessun altro nella stanza".

"Posso sempre prendere un taxi, eh".

"Senti, ora ho davvero fame e sono stanco di cenare da solo. Ti va di farmi compagnia? Più tardi prometto di lasciarti prendere un taxi. Solo... resti un altro po'?".

Ho sorriso, lasciando perdere la questione, ben consapevole della testardaggine del mio interlocutore, e ho preso il cellulare per avvisare i miei genitori e ricevere anche una bella ramanzina da parte loro circa la puntualità e la responsabilità. Come se commettere un singolo errore in 20 anni suonati di esistenza fosse sufficiente a farmi diventare un'irresponsabile ritardataria.

E così mi sono trovata, una ventina di minuti dopo, seduta accanto a Charles con la schiena appoggiata alla testata del suo letto e un cartone di pizza ciascuno sulle gambe, guardando sul computer un episodio di una serie tv che mi ha fatto conoscere lui in quel momento. Non che questo mi stupisca, in fondo non mi rimane molto tempo per oziare su Netflix tra il tirocinio e gli studi avanzati; però è piacevole conoscere nuovi aspetti legati a lui, anche se legati a qualcosa di così piccolo come una serie tv su un distretto di polizia americano. Un'idea piuttosto banale, certo, ma in sé mi è piaciuta e mi ha fatto ridere più di quanto abbia fatto qualsiasi altra cosa nell'ultimo mese. Probabilmente è stato anche merito dell'alcol però, questo va detto.

La pizzeria ci ha infatti omaggiato due bottiglie di birra da mezzo litro ciascuna e, siccome Charles non può bere alcolici a causa delle maree di medicine che assume, e il mio immenso amore per quella bevanda mi ha moralmente impedito di farla andare sprecata, mi sono trovata a bere entrambe le bottiglie da sola. Non che mi sia dispiaciuto, certo, ma è stato sufficiente a rendermi sfumati i ricordi dal dopo cena a ora.

L'ultima cosa che ricordo è un'immagine di me sulla porta con lo zaino in spalla e Charles davanti a me che mi chiede di non andare, e poi le sue labbra sulle mie, in un bacio tutt'altro che innocente, come se dovesse colmare tutti quelli soppressi in quelle ore.

E, ora che ci penso e ho la mente un po' più lucida, mi volto di scatto verso il lato del letto a cui ho dato la schiena fino ad ora e, benché la visione mi sorprenda e non poco, forse non è poi del tutto inaspettata.

Ottimo modo per tenere separata la vita privata da quella professionale, Noelle. Davvero un ottimo modo.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 19, 2020 ⏰

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